Le zone economiche esclusive (ZEE) sono delle aree marine in cui uno stato ha giurisdizione sui diritti di pesca, sullo sfruttamento delle risorse energetiche e sulla salvaguarda ambientale. Queste aree sono riconosciute dal diritto internazionale; in particolare, sono definite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare (UNCLOS).
Le ZEE vengono proclamate dai singoli stati costieri in base alle direttive della Sezione V del UNCLOS; esse sono definite come aree adiacenti alle acque territoriali, che possono estendersi fino a 200 miglia nautiche dalla costa di uno stato, quindi per un’estensione di 188 miglia nautiche rispetto alle acque territoriali.
Le ZEE si distinguono nettamente dalle acque territoriali in quanto quest’ultime sono effettivamente riconosciute come un’estensione del territorio nazionale sulle quali gli stati possiedono piena giurisdizione. Lo stato che proclama la propria ZEE ha invece giurisdizione soltanto sulla gestione delle risorse naturali, sia che esse siano sul fondale marino o nella colonna d’acqua sottostante la superfice. Inoltre, lo stato ha giurisdizione sulla salvaguardia ambientale. Ad esempio, uno stato può definire e limitare i diritti di pesca, può estrarre gas naturale o idrocarburi, può installare parchi eolici e instaurare riserve naturali.
All’interno della ZEE è anche possibile realizzare opere infrastrutturali come la creazione di isole artificiali, l’installazione di piattaforme e la realizzazione di barriere o frangiflutti. Tuttavia, il diritto internazionale garantisce a tutti gli stati terzi la possibilità di navigare o sorvolare le acque di una ZEE. Oltre ciò, non può essere in alcun modo impedito a stati terzi l’installazione di cavi sottomarini per la trasmissione di energia o dati e la realizzazione gasdotti sottomarini.
Nei suoi articoli la UNCLOS stabilisce anche dei principi adatti ai casi in cui stati costieri si trovino molto vicino tra di loro o nei casi di mari semichiusi, nei quali è possibile che la corsa alla creazione di ZEE porti a conflitti. Nell’Articolo 74 della Sezione V si specifica che nel caso in cui le coste di due stati distino meno di 400 miglia nautiche, o in tutti i casi in cui una ZEE sia contestata tra due o più stati, debba vale il principio di equità; le dispute devono quindi essere risolte con accordi bilaterali o multilaterali tra gli stati.
In effetti, il diritto internazionale non definisce delle regole chiare per stabile i confini delle ZEE nel caso di dispute, ma rimanda agli stati la responsabilità di accordarsi. In alcuni casi il compromesso tra due stati è stato raggiunto tracciando la linea di demarcazione della ZEE in un punto equidistante dalle due coste. Però questa pratica di buon senso non è sempre utilizzata. In altri casi si sceglie di demarcare il confine di una ZEE seguendo il confine della piattaforma continentale, cioè del prolungamento della terra ferma nel fondale marino. Ad esempio, quest’ultima via è stata utilizzata nell’accordo tra Italia e Grecia di cui parleremo in seguito.
Le ZEE sono molto importanti, sia in termini di risorse economiche che di sicurezza in mare. Dal punto di vista economico e sociale le ZEE entrano in gioco anche quando si parla di transizione ecologica. Infatti, come già detto, uno stato può esercitare la piena giurisdizione sulle risorse energetiche della sua ZEE, sfruttando le risorse sul fondale, l’energia delle onde e del vento. In generale le zone economiche esclusive sono fondamentali quando si parla di sviluppo della Blue Economy, cioè della creazione di valore economico e sociale grazie al mare.
In questo contesto, l’energia eolica sviluppata da impianti offshore è uno dei motori che può alimentare la transizione energetica. Senza aver ben stabilito e concordato con gli altri stati una ZEE è molto difficile immaginare e realizzare progetti di impianti eolici offshore.
In Italia nel 2022 sono stati più di 40 i progetti di Wind Farm offshore proposti in seguito ad una manifestazione di interesse del Ministero della Transizione Ecologica. Alcuni dei progetti più importanti ed interessanti riguardano le acque adiacenti a Sicilia, Sardegna e mar Adriatico. Nel 2022 è stato annunciato un accordo tra una Join Venture italiana e un fondo d’investimento gestito da Copenhagen Infrastructure Partners, per la realizzazione di due impianti eolici disposti a largo dalle coste di Sicilia e Sardegna.
In totale si prospettano 750 MW di potenza installata. Il primo impianto prevede l’installazione di 21 turbine eoliche ad oltre 35 km dalla costa di Marsala, nella Sicilia occidentale; il secondo invece prevede 42 turbine disposte nel mare antistante la costa sud-occidentale della Sardegna.
Anche per lo sfruttamento del moto ondoso la definizione di una ZEE è di vitale importanza. L’Italia è uno dei paesi che investe di più in Europa sull’energia del moto ondoso, con una spesa annuale di circa 5 milioni di euro, seconda soltanto al Regno Unito.
Spesso le zone in cui è presente una buona energia delle correnti si trovano in aree marine equidistanti dalle coste di due stati, come avviene ad esempio nel canale di Sicilia, nel mar Adriatico o nel mar occidentale della Sardegna, che si affaccia anche su Francia e Spagna.
L’Ente Nazionale per l’Energia Alternativa (ENEA) ritiene che nel canale di Sicilia sia presente una densità di energia del moto ondoso compresa tra i 10 ed i 13 kW/m. Sempre ENEA riporta che una delle aree più promettenti in questo campo è il mare a ovest della Sardegna. In Italia esistono già siti operativi di sperimentazione nelle acque di Pantelleria, Reggio Calabria, Napoli e nella regione Adriatica.
Nel fondale dell’Adriatico esistono rilevanti giacimenti di gas. Molti paesi balcanici, in particolare la Croazia, già da tempo sfruttano queste risorse. Anche nel Mediterraneo orientale sono stati scoperti grossi giacimenti di gas, i quali si trovano contesi tra Turchia, Cipro e Israele. In questi contesti la definizione di ZEE concordate tra i vari stati diventa di capitale importanza e permette di evitare dispute prolungate.
Le zone economiche esclusive sono entrate a far parte del diritto internazionale dal 1995, tuttavia il parlamento italiano ha iniziato a muoversi con determinazione soltanto nel 2021, emanando un decreto che permette la dichiarazione di una ZEE italiana. Nel frattempo molte nazioni che si affacciano sul mar Mediterraneo hanno dichiarato la loro ZEE, come ad esempio Croazia (Decreto Parlamentare nel 2003), Francia (Decreto nel 2012), Spagna (Decreto Reale nel 2013), Tunisia e Libia (2005), per poi essere seguite da Turchia, Algeria, Israele e Marocco.
In effetti il Mediterraneo rappresenta un caso particolare, in quanto è un mare semichiuso in cui la distanza tra le coste di stati differenti è scarsa e può dare adito a dispute internazionali. Fino ai primi anni del 2000 la consuetudine per molti stati era quella di instaurare una Zona di Protezione Ecologica (ZPE) per regolamentare la pesca e instaurare riserve naturali. Tuttavia, molti stati hanno usato come pretesto il riconoscimento della loro ZPE per trasformarla in ZEE.
L’Italia aveva già instaurato la sua ZPE nel 2006, tuttavia non ha riconosciuto il nuovo approccio internazionale ed ora si trova in ritardo nel trasformare la ZPE in ZEE. Il decreto italiano del 2021 permette di stabilire una ZEE italiana sulla base dei principi stabili dall’UNCLOS:
Nonostante le linee guida siano state tracciate, ancora non è stato definito il contorno preciso della ZEE italiana; al momento esistono soltanto ipotesi (vedi carta sull’ipotesi di ZEE italiana). Di seguito si riportano gli accordi e le trattative che potrebbero delineare la ZEE italiana.
La delimitazione della ZEE italiana con le acque di interesse greco è già stata stabilita nel 2020, grazie ad un accordo che prevede di tracciare il confine delle ZEE in corrispondenza del confine della piattaforma continentale.
Lo stesso approccio potrebbe portare ad accordi simili con Montenegro e Albania; per quanto riguarda la Croazia, esisteva già un accordo stipulato nel 1968 (con l’allora Jugoslavia), che è stato rinnovato nel maggio del 2022.
Va ricordato inoltre che il mar Adriatico rientra perfettamente nella definizione di mare semichiuso, e quindi secondo la UNCLOS dovrebbe essere gestito in regime di armonia e collaborazione tra tutti gli stati costieri.
Il confine della ZEE italiana con la Spagna dovrebbe seguire un accordo del 1974, che si basa sul confine delle piattaforme continentali. Con la Francia invece esistono due accordi; il primo è stato proposto nel 2012 (accordo di Caen), ma non è stato ancora ufficializzato. Esso definisce il confine tra le acque italiane e francesi nel nord del mar Tirreno. Il secondo è un accordo per una zona di pesca comune tra Corsica e Sardegna (Bocche di Bonifacio).
Sicuramente il Mediterraneo del sud (Canale di Sicilia) rappresenta il confine più spinoso per la definizione della ZEE italiana. Con la Tunisia esiste un accordo siglato nel 1971, che si basa sul confine della piattaforma continentale; questo accordo tuttavia è molto contestato perché escluderebbe l’Italia dalla zona di pesca del Mammellone, tra Sicilia e Tunisia. La Tunisia non ha ancora dichiarato i limiti della propria ZEE, quindi le trattative sono aperte.
Con la Libia si potrebbe seguire il principio di equidistanza, anche se al momento è complicato stabilire accordi con lo stato libico data la situazione precaria nella regione. Con Malta invece tutto è in stallo; La Valletta non ha comunicato intenzioni sulla definizione della propria ZEE e le trattative con l’Italia sono ferme al 2014.
Nel 2018 l’Algeria ha proclamato unilateralmente la propria ZEE, che secondo Algeri arriva a lambire le acque territoriali italiane nel mare a ovest e a sud della Sardegna, nei pressi del Golfo di Oristano. Il governo italiano ha protestato contro la decisione in ambito internazionale, lamentando un allargamento troppo ampio delle acque di competenza algerina, ed auspicando un accordo bilaterale tra gli stati.
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