Wind propulsion: come il passato diventa futuro
Quante volte da bambini abbiamo disegnato un tramonto? E quante volte in questo idilliaco paesaggio abbiamo immaginato il sole sparire, lentamente, nell’orizzonte dell’oceano solcato da una piccola e fine barca a vela? Questo tipo di nave, a wind propulsion, ha sempre avuto un certo fascino, elegante e sinuosa come poche, spesso molto più affascinante e ipnotica di un qualsiasi altro yacht di lusso, capace di lasciare con il fiato mozzato mentre la si osserva, impavida e coraggiosa, affrontare i mari in tempesta, uscendone indenne e domando anche le onde più grandi.
Wind propulsion: e il vento: dove tutto è iniziato
Tali navi sfruttano quello che forse è stato il primo “motore propulsivo” usato nella nostra storia: il vento. Il termine propulsione indica l’azione necessaria a ricavare l’energia utile per la movimentazione di un mezzo, in questo caso una nave; se ad essa si associa la parola velica ecco che appare evidente come la fonte energetica, in questo caso, venga prelevata dal vento. Impresse nelle menti di ogni studente vi sono le imponenti navi della marina militare romana che attraversavano il Mar Mediterraneo con estese vele pronte a dar battaglia agli eserciti nemici.
Nell’immaginario comune un tal tipo di propulsione appare oramai datato e anacronistico, utilizzato solo da nostalgici pionieri o, comunque, inadatto a generare energia sufficiente per movimentare le enormi città galleggianti che dominano il traffico marittimo dei giorni nostri. D’altronde, appare quasi comica la scena di un moderno Jack Sparrow intento, con il suo minuscolo binocolo, a scrutare i mari appollaiato sull’albero maestro di un’imponente petroliera dotata di vele occupanti l’intero ponte. In verità, sarebbe già surreale immaginare il detto pirata a bordo di una petroliera, è ben più realistico immaginarlo sul ponte di una delle navi della Guinnes (ebbene sì, la Guinnes possiede una propria flotta).
Wind propulsion: difficoltà tecnologiche
Comunque, oltre alla scomodità di un’installazione di questo tipo, risulta anche ovvio come questa vada anche ad ostacolare la visuale del comandante, incrementando esponenzialmente il rischio di compiere una manovra sbagliata e, quindi, di incidenti.
Eppure, nonostante la difficoltà di una tecnologia di questo tipo, la fantasia degli ingegneri è stata capace di superare quella dei registi di film di fantascienza, riuscendo a trovare un modo di sviluppare soluzioni all’avanguardia e fattibili. Prima, però, bisogna fare un passo indietro: perché è stato rivolto questo sguardo al passato? In verità, la domanda andrebbe formulata in maniera diversa: perché si è reso necessario rivolgere uno sguardo al passato?
I giorni nostri: inquinamento, crisi climatica e sviluppo della ricerca
L’epoca che stiamo vivendo è caratterizzata da profondi cambiamenti, energetici e tecnologici, obbligatori per rendere la nostra società la più sostenibile possibile, soprattutto alla luce dei sempre più evidenti effetti del riscaldamento globale. Ecco, così, che non senza difficoltà, il mondo scientifico si è messo subito all’opera e, da questa necessità, sono andate a diramarsi due differenti strade parallele.
La prima, che con uno sguardo più rivolto al futuro, ha ricercato soluzioni energetiche alternative e, spesso, ingegneristicamente estreme, come l’uso di ammoniaca e idrogeno per la propulsione navale, ma anche l’uso di fonti energetiche rinnovabili, come quella solare ed eolica. Il secondo filone, invece, mirando ad un ammodernamento rapido della flotta mondiale, ha ricercato soluzioni di più immediata applicazione, come l’elettrificazione dei mezzi che compongono un tradizionale motore termico, come l’aggiunta di un compressore elettrico, soluzione che viene detta e-Turbo.
Tutto questo è perfettamente in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione richiesti dai tanti accordi internazionali stipulati dai vari Stati, i più importanti e famosi dei quali sono quelli di Parigi, stipulati nel dicembre nel 2015, in cui sono contenute le linee guida da seguire e rispettare per contenere l’incremento di temperatura al di sotto dei 2°.
Settori industriali più inquinanti e settore marittimo
Come noto, uno dei settori industriali maggiormente inquinante è quello inerente al settore dei trasporti; limitando l’attuale analisi ad una fonte di inquinamento puramente legata alle emissioni da gas serra è doveroso sottolineare che nonostante via mare avvengano il 77% degli scambi europei con paesi terzi ed il 35% degli scambi commerciali tra paesi europei, solo il 13.5% delle emissioni europee sono riconducibili ai mezzi navali che, alla luce di ciò, si collocano come fanalino di coda di questa poco nobile classifica che vede ai primi due posti il trasporto terreste (71%) e quello aereo (14.4%).
Nonostante ciò, il settore marittimo è stato sottoposto ad un forte sviluppo tecnologico che ne ha ampiamente migliorato l’impatto ambientale, sviluppo che ha portato all’adozione di combustibili alternativi come il gas naturale, ad una sempre più marcata elettrificazione e alla ricerca di nuove fonti energetiche come l’idrogeno. La principale problematica di questa nuova e forte richiesta è quella di riuscire ad individuare un punto d’incontro tra il rispetto dei limiti ambientali e il mantenimento o, addirittura, miglioramento delle prestazioni tecnologiche.
Il motore a combustione interna: motore primo navale per eccellenza e le sue problematiche
Prima di affrontare una delle soluzioni adottate, ovvero la cosiddetta wind propulsion, per completezza è doveroso visualizzare e descrivere le emissioni legate al motore primo navale per eccellenza, ossia il motore a combustione interna. Vale la pena specificare che solo recentemente si è iniziato a prestare attenzione alle emissioni atmosferiche di un motore a combustione interna di utilizzo navale. Infatti, in tempi passati, la pressione della società civile era stata indirizzata e veicolata nei confronti degli enormi sversamenti di greggio a seguito di danni riportati dalle petroliere.
Ciò è da ricondurre al forte impatto visivo, tangibile e, quindi, emotivo delle conseguenze di questa tipologia di incidenti. Non è un caso che è ancora vivido ed ancorato nella memoria collettiva il tristemente famoso disastro della Exxon Valdez. Principale conseguenza di ciò fu l’ammodernamento delle normative riguardanti le grandi petroliere, come l’introduzione dell’obbligo del doppio scafo.
Emissioni atmosferica del mondo navale
Proprio per questo motivo il mondo navale, nel momento in cui l’attenzione è stata portata alle emissioni atmosferiche, si è fatto trovare del tutto impreparato e carente di modelli predittivi e matematici attendibili, costretto così a prendere in prestito quanto sviluppato nel mondo automobilistico.
Se un approccio del genere può essere considerato plausibile per l’analisi dei water bus che solcano i canali di Amsterdam e Venezia, dove i motori sono sottoposti a regimi di funzionamento del tutto analoghi ai corrispettivi terrestri, non può dirsi lo stesso per quelli istallati a bordo delle grandi navi da carico, come OBO, bulk carrier e petroliere, caratterizzati da tempi di funzionamento continuativo decisamente maggiore e con un numero ridotto di manovre. Inoltre, un’analisi condotta su quest’ultima tipologia di navi non può limitarsi alla sola analisi in mare aperto, in quanto le manovre che esse effettuano in prossimità dei porti e l’alimentazione delle utenze di bordo tramite gruppi elettrogeni durante gli ormeggi rendono altamente nociva l’aria in prossimità dei porti.
Inquinamento dovuto al motore a combustione interna in numeri
È evidente come la vastità del problema non permette né un approccio né una soluzione generali, ma obbliga ad un’analisi puntuale su ogni singolo aspetto. Ciononostante, il fine della nostra trattazione è quello di analizzare il solo aspetto propulsivo, quindi, passiamo subito al dunque: in merito alle emissioni di un tradizionale motore diesel due tempi lento alimentato da combustibile pesante con 4% in massa di zolfo, solamente il 6.40% di 8.032g/kWh emessi dai gas di scarico è costituito da sostanze pericolose o inquinanti, essendo, infatti, il 6% anidride carbonica (gas serra), ed il restante 0.40% ossidi di zolfo e azoto, incombusti, particolato e monossido di carbonio.
Tale percentuale è solo apparentemente molto esigua, in quanto l’analisi ed il calcolo devono essere estesi alla totalità delle navi presenti e al numero di ore di funzionamento totali che si hanno in un anno; infatti, solamente nell’anno 2001 sono stati riversati in atmosfera ben 21.88Mt di ossidi di azoto.
Ovviamente affinché a questa analisi segua un intervento mirato e concreto è indispensabile individuare il peso che le varie tipologie di navi hanno sull’inquinamento complessivo. Da qua si evince come circa il 23.2% delle 21.88Mt sia stato emesso dalle sole portacontainers per via delle elevate potenze che richiedono. Con l’obiettivo di affrontare il problema sul piano ingegneristico e, quindi, scientifico, è però importante evitare di farsi fuorviare dai numeri.
Infatti, ad un’analisi superficiale e poco attenta una cifra così alta potrebbe portare ad additare il settore dei trasporti marini come estremamente inquinante. In verità lo studio andrebbe esteso anche in ragione della quantità di merce trasportata per singolo viaggio; a valle di uno studio siffatto emerge come, per tonnellate di merci trasportate per chilometro, il settore marino inquini “solamente” per 0.5g di ossidi di azoto, valore decisamente inferiore ai 4g che si hanno per gli automezzi. Di seguito si riporta un elenco delle emissioni di un motore a combustione interna:
- Ossidi di azoto NOx
- Ossidi di zolfo SOx
- Idrocarburi incombusti HC
- Ossidi di carbonio CO
- Anidride carbonica CO2
- Particolato
Quadro normativo: combattere l’inquinamento con la burocrazia
Una volta evidenziato il problema è indispensabile analizzarne anche il quadro normativo. L’organizzazione internazionale che gestisce l’emanazione delle normative è l’International Maritime Organization (IMO). Il suo ruolo è estremamente complesso in quanto, come sottolineato nel precedente capoverso, le soluzioni da adottare non possono essere generali ma devono essere particolarizzate in funzione del tipo di nave e della rotta battuta. Infatti, navi che percorrono rotte transoceaniche, quindi lontane dalle coste, a velocità costante e con il motore al massimo della potenza per la maggior parte del tempo, non possono essere soggette agli stessi limiti dei traghetti o delle Ro/Ro, che battono più porti e navigano più vicino ai centri abitati.
Inoltre, le normative emanate e i limiti che impongono sono spesso dettati dal dove il mondo scientifico ha puntato la propria attenzione. Ad esempio, l’Annesso VI della Convenzione MARPOL del 1997 pone l’attenzione soprattutto sugli NOx, riducendone del 30% le emissioni nei motori di nuova costruzione rispetto a quelli del 1990, essendo a quei tempi impellente la necessità di evitare un eccessivo assottigliamento dello strato di ozono nell’atmosfera. Ben più complesso è il discorso relativo agli ossidi di zolfo quali SOx.
Infatti, se in mare aperto l’Annesso VI impedisce l’uso di combustibile con un tenore di zolfo superiore al 4.5%, in prossimità delle coste le limitazioni sono più o meno stringenti a seconda dell’area geografica considerata. Infatti, in prossimità delle cosiddette aree SECA (Sulphur Emission Control Areas), come ad esempio il Mar Baltico, il limite è fissato all’1.5%.
Limiti così differenti hanno obbligato gli armatori a individuare diverse soluzioni, spesso anche radicalmente diverse le une dalle altre come l’uso di differenti combustibili a seconda della zona di navigazione o l’installazione di sistemi di trattamento dei gas di scarico come gli scrubbers. In merito all’anidride carbonica nel 2011 è stato reso obbligatorio il calcolo di un indice di efficientamento energetico detto EEDI, espresso in grammi di CO2 su tonnellata per miglio. Tanto più è piccolo tale indice tanto più efficiente sarà la nave. L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre fino al 30% le emissioni di anidride carbonica per le navi costruite nel decennio 2000/10.
Questo, è quindi il contesto nel quale si colloca la nostra analisi. Passiamo ora al cuore della trattazione, che è anche il motivo per il quale avete aperto questo link, la wind propulsion.
La wind propulsion
Come prima cosa va sottolineato che, data la variabilità e non prevedibilità del vento, un sistema propulsivo come la wind propulsion è per forza di cose “di accompagnamento”, di supporto a quello principale, subentrando quando le condizioni ambientali lo rendono possibile e favorevole. Il secondo problema di questa tecnologia, che è stato anche palesato all’inizio di questa trattazione, è lo spazio necessario agli alberi che possono arrivare a misurare fino ad 80m di altezza. Se questo potrebbe non essere un problema per le navi più grandi, risulta invece una notevole sfida per le imbarcazioni più piccole, senza poi contare dello spazio necessario alla loro costruzione, sfida che ovviamente interessa i cantieri navali.
Infatti, una valida alternativa, soprattutto per gli yacht, è l’installazione di un aquilone che viene rilasciato da un sistema automatico nelle condizioni favorevoli e, poi, ritirato, sempre automaticamente, quando queste cessano. Si parla in questo caso di kite e l’idea è stata “rubata” dalla celebre ed omonima attività sportiva e ludica.
Una valida alternativa: il rotore Flettner nella wind propulsion
Oltre alle tradizionali vele e all’appena nominato kite, altra valida alternativa è il rotore Flettner, un sistema propulsivo non convenzionale che basa la sua applicabilità sull’effetto Magnus. Questo consiste in un cilindro verticale rotante attorno al proprio asse. La differenza di pressione che si genera tra la faccia esposta al vento e quella “scarica” genera una spinta perpendicolare a quella del vento.
Installare tali soluzioni necessita di notevoli e profondi mutamenti rispetto alla tradizionale progettazione di una nave. Infatti, dovranno essere posizionati ulteriori rinforzi, elementi di stabilizzazione e manovrabilità. Se da un lato questa cosa aumenta il livello di stress degli ingegneri dall’altro ci appaga notevolmente, perché significa che il mondo avrà ancora bisogno di noi per un lungo tempo, quindi, almeno per il momento, siamo salvi dalla disoccupazione.
Va specificato che i vantaggi di queste installazioni per la wind propulsion sono notevoli ed evidenti (possono ridurre l’impatto ambientale anche per valori superiori al 45%) ma anche “irregolari”, ovvero dipendenti dall’effettiva entità e regolarità del vento, proprio per questo è sempre indispensabile, prima di cimentarsi e gettarsi a capofitto nella loro costruzione, effettuare una spinta analisi costi/benefici, analizzando i database meteorologici delle aree che saranno battute dalla nostra nave.