Il naufragio del Titanic: analisi metallurgica di una tragedia
La tragedia e la perizia tecnica postuma
È la notte fra il 14 e il 15 aprile 1912, la nave da crociera britannica Royal Mail Ship Titanic sta percorrendo il suo viaggio inaugurale da Southampton, Inghilterra, a New York con a bordo circa 1500 passeggeri. Nel buio che avvolge l’oceano Atlantico l’equipaggio tarda ad individuare la punta del famigerato iceberg, l’impatto è inevitabile e l’epilogo è quello che tutti conosciamo. Il naufragio del Titanic passerà alla storia come il simbolo del fallimento del mondo industrializzato nel domare le forze della natura. Proprio grazie a questo suo significato latente l’incidente si è affermato come un vero e proprio mito fino ai giorni nostri.
Nonostante il Titanic rappresenta un gioiello dell’ingegneria dei suoi tempi, il suo inabissamento fu probabilmente facilitato, se non proprio causato,da una scarsa qualità dell’acciaio dello scafo. Ciò è stato dimostrato da una serie di analisi metallurgiche raccolte in una relazione tecnica pubblicata dallo U.S. Department of Commerce nel 1998. Infatti, i test effettuati su dei campioni di piastre d’acciaio appartenenti allo scafo e su dei rivetti recuperati direttamente dal relitto del Titanic hanno permesso di concludere che la composizione chimica e microstrutturale dell’acciaio potrebbero aver avuto un ruolo non trascurabile nell’incidente del 1912. In particolare, l’indagine ha riscontrato una temperatura di transizione duttile-fragile molto alta, 40°C e 70°C, rispetto alla temperatura di -2°C dell’acqua in cui navigava il Titanic. Questa si pensa possa essere stata una causa decisiva nella rottura a metà dello scafo avvenuto qualche ora dopo l’impatto con l’iceberg. Oggigiorno una temperatura di transizione duttile-fragile così alta non sarebbe accettabile per applicazioni marittime, proprio perché insufficiente a garantire la giusta resilienza del materiale, ovvero la capacità di assorbire energia a seguito di un impatto.
La particolare struttura dell’acciaio del Titanic
Altra problematica riscontrata dagli analisti riguarda la microstruttura dell’acciaio, infatti, il campione prelevato dallo scafo del Titanic presentava una microstruttura grossolana con grandi colonie di perlite, le quali hanno un effetto negativo sulla resilienza del materiale. Inoltre, inclusioni di solfuro di manganese (MnS) di dimensioni superiori ai 100 micron (milionesimi di metro) sono state trovate all’interno delle piastre analizzate. In realtà, questo tipo di inclusioni sono da considerarsi il male minore, in quanto il manganese viene aggiunto di proposito all’acciaio per raccogliere lo zolfo in questi solfuri in modo da evitare che quest’ultimo venga segregato ai bordi dei grani e promuova così un infragilimento dell’acciaio. Tuttavia, inclusioni di grandi dimensioni e di forma lenticolare come quelle trovate nel Titanic possono favorire la nucleazione di cricche microscopiche, ovvero piccole crepe da cui poi si propaga la frattura macroscopica.
Oltre che dalle piastre, lo scafo del Titanic era tenuto assieme da circa tre milioni di rivetti in ferro battuto, ovvero acciaio a basso contenuto di carbonio (%C<0.2) e caratterizzato da un’abbondante presenza di inclusioni (2-3%), principalmente silicati. L’indagine metallurgica condotta su due dei rivetti recuperati dal Titanic ha riscontrato la presenza di tre volte (circa 9.3%) il contenuto di inclusioni normalmente presente nel ferro battuto. Ciò ha un evidente effetto negativo sulle proprietà meccaniche del rivetto che risultano particolarmente anisotrope, ovvero non sono uguali in tutte le direzioni. Inoltre, come nel caso dei solfuri di manganese presenti nelle piastre, anche le inclusioni nei rivetti possono facilitare la formazione di cricche.
Nonostante oggigiorno tutti questi difetti di costruzione ci possano sembrare inaccettabili e banali per un’opera ingegneristica così importante come una nave passeggeri, non dobbiamo dimenticare che all’epoca le conoscenze e gli strumenti a disposizione erano limitati se paragonati a quelli odierni. Dopotutto stiamo parlando di più di un secolo fa!
La prova di resilienza e la temperatura di transizione duttile-fragile
Fra tutte le possibili cause che possono aver facilitato l’inabissamento del Titanic, quella dell’alta temperatura di transizione duttile-fragile è sicuramente la più convincente. Ma cos’è esattamente questa temperatura e che cosa rappresenta? Per capirlo dobbiamo prima parlare dei due modi principali di rottura a cui un materiale può andare incontro: frattura duttile o fragile. La frattura duttile si riscontra, come dice la parola, in materiali duttili come gli acciai o leghe di alluminio, solo per citarne due molto comuni. Questo tipo di frattura è caratterizzata da una notevole deformazione del materiale prima di arrivare alla rottura ed è quindi tendenzialmente meno pericolosa. Al contrario, una frattura fragile è tipica di materiali poco duttili, come ad esempio la ghisa o il vetro. Questi materiali, infatti, si rompono rapidamente senza dare alcun segnale premonitore, il che rende questo tipo di frattura particolarmente insidioso. In generale, per applicazioni strutturali, come nel caso delle piastre del Titanic, i materiali utilizzati presentano un comportamento duttile. Tuttavia, anche materiali apparentemente duttili possono esibire una frattura fragile al di sotto di una data temperatura, la temperatura di transizione duttile-fragile appunto.
Per misurare questa temperatura, si fa uso di una prova standard piuttosto semplice chiamata prova Charpy o prova di resilienza. Essa consiste nel fare impattare un pendolo contro un provino del materiale da testare contenente un intaglio a V.
Sapendo l’altezza di partenza del pendolo e misurandone l’altezza finale, si può calcolare l’energia assorbita dal provino durante la frattura. La quale non sarà altro che la differenza in energia potenziale del pendolo prima e dopo l’impatto.
L’energia assorbita è da interpretarsi come una misura della resilienza del materiale, ovvero la sua capacitò di resistere ad impatti dinamici. Questa prova può essere ripetuta a diverse temperature per ottenere la tipica curva di transizione duttile-fragile del materiale (vedi figura 1). In generale, non si ha una transizione netta ad una data temperatura, poiché essa avviene più o meno gradualmente a dipendenza del materiale considerato. Per questo motivo spesso si pone convenzionalmente come temperatura di transizione duttile-fragile la temperatura in cui l’energia assorbita equivale a 27 joules. Perciò al di sotto di questa energia il comportamento del materiale diventa fragile e non adeguato a resistere a carichi impattanti, come poteva essere lo scontro con l’iceberg che affossò il Titanic.
In conclusione, anche se non potremmo mai sapere con esattezza cosa determinò il più celebre dei disastri navali della storia, possiamo almeno cercare di ricostruirne le possibili cause per imparare dai nostri errori.
Articolo a cura di Axel Baruscotti