Barriera corallina, da Padova arriva una scoperta eclatante | Hanno trovato il suo suono: grazie a questo riuscirà a riprodursi più in fretta

Il suono della Barriera Corallina (Canva/Freepik foto) - www.marinecue.it
Il progetto dell’Università di Padova mira a ricostituire la floridità delle barriere coralline e salvaguardarne la loro integrità. Ecco in cosa consiste il programma
Le barriere coralline rappresentano un’ecosistema che figurano tra i più ricchi al mondo in termini varietà di specie sia animali, sia vegetali. Sono, infatti, migliaia gli organismi che popolano questi peculiari ambienti.
La diffusione degli stessi è relegata quasi esclusivamente alle zone tropicali, ossia a ridosso dei tropici, dove la temperatura acquatica oscilla tra i 18°C e i 30°C massimo. Al contrario, risulta molto più difficile riscontrarne la presenza nelle aree equatoriali.
Nel corso degli ultimi anni le barriere coralline e i loro abitanti sono stati caratterizzati da un progressivo aumento delle minacce esterne nei loro confronti. Tra le principali cause vengono annoverate le malattie e l’aumento delle temperature sottomarine.
Ma anche le alterazioni della salinità idrica, direttamente correlabile proprio al riscaldamento globale, oltre alla diffusione di specie non autoctone di predatori, attribuita, invece, all’incremento delle attività umane.
Favorire il benessere della barriera corallina
L’artista Marco Barotti ha condotto un peculiare esperimento sott’acqua, ricreando suoni allegri e chiacchiere “marine” al fine di attirare le specie marine verso le barriere coralline, in modo tale da favorire un ripopolamento delle medesime aree, contrastando il fenomeno dello sbiancamento che sta, al contrario, allontanando un numero di popolazione sempre maggiore. Questa attività ha avuto luogo nelle profondità a largo delle Maldive, come spiegato dallo stesso artista, che ha spiegato che l’Università di Padova, con cui sta collaborando, è correntemente impegnata nel portare avanti un progetto che pone come principale obiettivo la conservazione delle barriere coralline. Barotti ha spiegato precisamente i passi da compiere nell’ambito di questo programma ai taccuini di Repubblica.
Nei pressi dell’isola di Feridhoo, appartenente per l’appunto all’arcipelago sito nell’Oceano Indiano, sono stati impiegati degli idrofoni sia nelle aree di maggior benessere sottomarino, sia in quelle dove lo sbiancamento ha preso piede in modo più impattante. L’artista, che già aveva creato un’installazione, poi esposta a Berlino, che faceva riferimento ai coralli e alla barriera, ha preso ancor più a cuore l’argomento dopo essere entrato in contatto con uno studio pubblicato su Nature Communications nel 2019, in cui si parlava di un esperimento condotto nella barriera corallina australiana e che mirava a dimostrare come l’emulazione del tradizionale panorama sonoro che caratterizza le aree sane fosse in grado di favorire il ripopolamento della stessa. Ed è attraverso questi step che si è giunti sino al progetto Coral Sonic Resilience.

Come si è svolto l’esperimento?
Il lavoro congiunto dei biologi dell’ateneo veneto e di Barotti si è concretizzato attraverso la creazione e il posizionamento di un’installazione sottomarina, composta da due scheletri di corallo in carbonato di calcio e ceramica, ai quali è stato unito anche un altoparlante. La possibilità di fornire energia all’installazione è merito della boa presentante in dotazione un pannello solare, sviluppata e realizzata da un team di esperti del Politecnico di Torino. Il prossimo anno vedrà il proseguo del monitoraggio, concentrandosi su quattro siti con presenza del suono aggiuntivo, quattro che, invece, non presenteranno il rumore dell’altoparlante. I risultati verranno diffusi mediante una pubblicazione scientifica.
Ma perché proprio le Maldive? Nonostante si sia abituati tradizionalmente ad inquadrare le isole dell’Oceano Indiano come un vero e proprio paradiso terrestre, stiamo, in realtà, parlando di uno dei luoghi a livello mondiale maggiormente interessati dal devastante impatto generato dai rifiuti prodotti dall’uomo, in particolare per quanto riguarda la plastica, direttamente correlabile al surriscaldamento degli oceani e al conseguente sbiancamento delle barriere. Ciò si traduce immediatamente nella perdita di colore; circa il 70% dei coralli globalmente presenti è soggetto a questo processo. Oltre ciò, ad essere colpiti sono anche i polipi del corallo, che verranno incubati da parte degli esperti dell’Università di Padova per trasferirli nuovamente sul fondale quando saranno cresciuti.