Il mare è pieno di sostanze inquinanti | Il primato adesso spetta a questi: tolto lo scettro ai carburanti
Ci mancava solo questa! Il mare è già pieno di sostanze inquinanti e questa sembra essere la ciliegina sulla torta.
Gli oceani non sono fatti solo di acqua salata: nascondono una varietà sorprendente di sostanze liquide che contribuiscono alla loro complessità. O
ltre al sodio e al cloro disciolti, troviamo tracce di composti chimici come il magnesio, il calcio e il potassio, fondamentali per mantenere l’equilibrio marino e supportare la vita acquatica.
Alcune aree degli oceani, specialmente vicino ai fondali, presentano sacche di liquidi particolari, come idrocarburi o metano liquido. Questi depositi naturali si formano grazie a processi geologici millenari e possono rivelarsi importanti risorse energetiche. Allo stesso tempo, rappresentano un rischio se non gestiti correttamente.
Alcune sostanze liquide negli oceani arrivano direttamente dall’uomo. Petrolio, sostanze chimiche e inquinanti liquidi purtroppo si mescolano con l’acqua marina, creando problemi ambientali seri.
Un problema invisibile
Quando pensiamo all’inquinamento, ci vengono in mente immagini di plastica negli oceani o gas nell’aria, ma raramente ci soffermiamo sui farmaci. Eppure, una ricerca dell’Università di Pisa ha messo in luce qualcosa di preoccupante: l’ibuprofene, uno dei farmaci più utilizzati al mondo, non si ferma al nostro corpo. Finisce nelle acque attraverso i sistemi fognari, che purtroppo non riescono a eliminarlo del tutto. Questo antinfiammatorio, già tanto usato durante la pandemia, è diventato uno dei tanti “contaminanti emergenti” che stanno silenziosamente alterando gli equilibri degli ecosistemi marini.
Lo studio si è concentrato sulle angiosperme marine, piante che non solo abbelliscono i fondali, ma svolgono un ruolo cruciale: proteggono le coste, immagazzinano carbonio e producono ossigeno. Sono vere e proprie sentinelle dell’ecosistema marino. Ma il contatto con residui di ibuprofene ha causato stress ossidativo in queste piante, danneggiandone l’apparato fotosintetico e, in alcuni casi, compromettendone la capacità di sopravvivere agli stress ambientali. Insomma, un danno non da poco.
Tecnologie e soluzioni per il futuro
La ricerca non si è limitata a mettere in evidenza il problema, ma ha anche sottolineato la necessità di agire. Con un consumo globale di ibuprofene che supera le 10.000 tonnellate all’anno, la prospettiva è che la contaminazione aumenti, se non vengono adottate nuove tecnologie per il trattamento delle acque. Attualmente, i sistemi di depurazione non sono progettati per eliminare questi composti chimici, lasciandoli circolare indisturbati nei nostri habitat naturali.
La professoressa Elena Balestri ha ribadito che, oltre a sviluppare metodi più avanzati per ridurre l’impatto di questi farmaci, sarà fondamentale stabilire limiti precisi di concentrazione nelle acque. Sapere fino a che punto gli ecosistemi possono tollerare la presenza di questi contaminanti potrebbe fare la differenza. Il messaggio è chiaro: non possiamo permetterci di ignorare questa sfida, se vogliamo preservare la biodiversità marina e gli incredibili servizi che questi ecosistemi ci offrono ogni giorno.