Microplastiche in mare, ci stiamo avvelenando | L’allarme dei medici: “Pesci e molluschi ne sono strapieni”
Le microplastiche sono un problema da non sottovalutare. Ormai la troviamo ovunque, e non solo nei nostri piatti.
Le microplastiche sono particelle di plastica di dimensioni inferiori a 5 millimetri, originate dalla degradazione di oggetti più grandi o prodotte direttamente per usi industriali e cosmetici.
Questi frammenti si trovano ormai ovunque: negli oceani, nei suoli agricoli, nell’aria e persino negli alimenti e nelle bevande. La loro diffusione globale rappresenta una delle più gravi minacce ambientali moderne.
Queste particelle accumulano e rilasciano sostanze chimiche tossiche, contaminando gli ecosistemi marini e terrestri. Nei mari, vengono ingerite dagli organismi acquatici, entrando nella catena alimentare e compromettendo la salute degli ecosistemi. L
Le microplastiche raggiungono l’uomo principalmente attraverso il cibo, l’acqua potabile e l’aria. Studi iniziali suggeriscono che possono provocare danni alle cellule, infiammazioni e stress ossidativo, anche se gli effetti a lungo termine sull’organismo sono ancora in fase di studio.
Il problema delle microplastiche
Le microplastiche sono ormai una triste realtà della nostra catena alimentare, soprattutto quando si parla di pesce e frutti di mare. Un recente studio della Portland State University ha analizzato sei specie ittiche del Pacifico nord-occidentale, mostrando come questi frammenti microscopici si insinuino nei tessuti dei pesci che finiscono sulle nostre tavole. Tra i più contaminati figurano specie come i gamberi rosa e l’aringa del Pacifico, un dato che non sorprende vista la loro alimentazione e il loro habitat.
Una delle cose più interessanti emerse dallo studio riguarda i livelli trofici, ovvero la posizione dei pesci nella catena alimentare, che sembra influenzare la quantità di microplastiche ingerite. E non si parla solo di contaminazione dovuta al confezionamento o alla lavorazione: il problema è a monte, nell’ambiente inquinato in cui questi animali vivono e si nutrono.
Conseguenze e riflessioni
Un dato inquietante riguarda le microfibre che si spostano dall’intestino ai muscoli, secondo quanto spiegato da Susanne Brander, ecotossicologa. Questo significa che non ci fermiamo alla contaminazione superficiale o esterna; le particelle finiscono direttamente nei tessuti commestibili, il che implica un rischio potenziale anche per noi esseri umani. La cosa più preoccupante? Che questo tipo di contaminazione non riguarda solo l’Oregon, ma è un fenomeno globale.
C’è però una piccola buona notizia: i ricercatori hanno notato che risciacquare pesci e crostacei prima della cottura può ridurre la contaminazione superficiale. È un gesto semplice, che però non elimina il problema alla radice. La sfida più grande rimane quella di intervenire sull’inquinamento marino, per proteggere non solo la fauna, ma anche la nostra salute e quella dell’intero ecosistema.