Gli ambientalisti hanno cambiato idea | “Meglio mangiare pesce allevato”: quello pescato è rischiosissimo
Il pesce allevato ha sempre suscitato scalpore, soprattutto tra gli ambientalisti. Ma potrebbe esserci un “cambio d’idea”.
Il pesce allevato rappresenta una fonte crescente di proteine per l’alimentazione umana e gioca un ruolo cruciale nel soddisfare la domanda globale di prodotti ittici.
L’acquacoltura, ovvero l’allevamento di specie acquatiche come pesci, crostacei e molluschi, è responsabile di oltre il 50% del pesce consumato nel mondo, superando la pesca selvaggia.
Ma l’allevamento intensivo comporta sfide significative. Problemi come sovraffollamento, malattie e uso eccessivo di antibiotici possono compromettere la salute degli animali e la qualità del prodotto finale.
Gli impatti ambientali includono l’inquinamento delle acque e la dipendenza da farine di pesce per l’alimentazione, che contribuiscono allo sfruttamento degli oceani.
L’acquacoltura e la sua importanza
Negli ultimi decenni, l’acquacoltura ha superato la pesca di cattura come principale fonte di produzione ittica globale. Secondo il rapporto SOFIA 2024 della FAO, nel 2022 l’allevamento ittico ha raggiunto il 51% della produzione mondiale, con 94,4 milioni di tonnellate contro i 92,3 milioni provenienti dalla pesca selvaggia. Questo risultato evidenzia un cambiamento necessario di fronte al sovrasfruttamento dei mari: gli stock ittici globali sono scesi al 60%, mentre nel Mediterraneo il declino è ancora più marcato, con un calo del 58%.
La crescente domanda di prodotti ittici, raddoppiata dal 1961, pone ulteriori sfide. Entro il 2050, con una popolazione mondiale stimata in 10 miliardi di persone, sarà necessario aumentare la produzione ittica di oltre il 20%. Per affrontare questa sfida, la FAO ha introdotto la “Trasformazione blu”, un piano globale per favorire lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura e garantire un approvvigionamento alimentare stabile senza compromettere l’ecosistema marino.
Sfide ed opportunità
In Europa, e in particolare in Italia, l’acquacoltura si sta evolvendo verso una maggiore sostenibilità. Il nostro Paese vanta circa 800 siti produttivi distribuiti tra acque dolci, mare e lagune, con una produzione di oltre 51mila tonnellate nel 2023, per un valore di oltre 400 milioni di euro. Solo che, questa produzione, non è sufficiente a soddisfare la domanda interna: solo il 20% delle spigole e orate consumate è di origine nazionale, mentre il restante 80% proviene dall’estero. Problematiche burocratiche e il numero limitato di concessioni off-shore rappresentano ostacoli alla crescita del settore.
I vantaggi dell’acquacoltura, tuttavia, sono molteplici. Rispetto alla pesca di cattura, riduce gli sprechi: il pesce allevato non presenta il rischio di anisakis e ha meno scarti rispetto al pesce pescato in mare. L’impronta ecologica è tra le più basse nel settore zootecnico, con emissioni di CO2 e consumi idrici significativamente inferiori rispetto a bovini e suini. Questa forma di produzione non solo soddisfa le esigenze del mercato, ma consente anche di allevare specie ormai scomparse in natura, contribuendo a preservare la biodiversità e a rendere il settore ittico sempre più sostenibile.