Come gli oceani producono l’ossigeno?
Il particolare ruolo nascosto degli oceani nella produzione di ossigeno: un importante ma fragile equilibrio.
Quando si pensa all’ossigeno che respiriamo, spesso ci vengono in mente le foreste e le piante terrestri. Tuttavia, esiste un altro protagonista silenzioso ma essenziale: gli oceani. Il vasto blu che copre circa il 70% del pianeta non è solo una riserva d’acqua, ma una vera e propria fabbrica di ossigeno, alimentata da organismi microscopici che fluttuano nelle sue profondità. Questa sorprendente funzione è spesso ignorata, ma riveste un’importanza cruciale per l’equilibrio della vita sulla Terra.
Nel cuore degli oceani, minuscoli organismi chiamati fitoplancton, insieme a batteri e alghe, svolgono un ruolo primario nella produzione di ossigeno attraverso il processo di fotosintesi. Nonostante le loro dimensioni microscopiche, la loro attività collettiva ha un impatto enorme sul nostro pianeta. Le vaste distese d’acqua forniscono loro l’ambiente ideale per crescere e prosperare, permettendo così che l’ossigeno venga rilasciato nell’atmosfera, in un ciclo costante e vitale.
Un aspetto affascinante riguarda la varietà di questi organismi. Alcuni, come il batterio Prochlorococcus, sono talmente piccoli da essere quasi invisibili all’occhio umano, ma il loro contributo è gigantesco. Questa piccola creatura è responsabile di circa il 20% dell’ossigeno prodotto nell’intera biosfera. Il suo contributo supera di gran lunga quello delle maestose foreste pluviali tropicali, dimostrando quanto possa essere potente l’azione di esseri così minuti.
Tuttavia, capire esattamente quanto ossigeno venga prodotto dagli oceani non è facile. I cambiamenti stagionali, le variazioni delle temperature e la disponibilità di nutrienti influenzano direttamente la quantità di fitoplancton presente in acqua e, quindi, la quantità di ossigeno generato. Le tecnologie moderne, come l’imaging satellitare, hanno permesso agli scienziati di monitorare questi processi, ma i dati raccolti forniscono solo una parte della storia.
Il delicato equilibrio dell’ossigeno oceanico
Oltre a produrre ossigeno, gli oceani lo consumano in grandi quantità. La vita marina, come quella terrestre, dipende dall’ossigeno per la respirazione cellulare. Gli animali marini, insieme a batteri e piante, utilizzano questo gas vitale in maniera costante. Questo significa che l’ossigeno prodotto attraverso la fotosintesi viene rapidamente riassorbito dall’ecosistema, in un ciclo dinamico e in continuo movimento.
Inoltre, il processo di decomposizione di piante e animali morti negli oceani consuma ulteriori quantità di ossigeno, un fattore spesso sottovalutato ma di grande impatto. Ogni cambiamento nelle dinamiche dell’oceano, come variazioni di temperatura o l’aumento dell’inquinamento, può alterare questo delicato equilibrio, influenzando la disponibilità di ossigeno per gli organismi marini.
Zone morte e ipossia: un rischio per l’ecosistema marino
Un fenomeno preoccupante legato a questo equilibrio è la formazione delle cosiddette “zone morte” o aree di ipossia, dove l’ossigeno scarseggia per la proliferazione e la decomposizione di alghe. Quando le alghe muoiono, i batteri responsabili della loro decomposizione consumano enormi quantità di ossigeno, spesso più di quanto l’ambiente riesca a rimpiazzare. Questo processo crea aree marine in cui la concentrazione di ossigeno è troppo bassa per sostenere la vita, mettendo a rischio la biodiversità e alterando gli equilibri naturali dell’ecosistema marino.
In queste zone, molte specie di pesci, crostacei e altri organismi non possono sopravvivere, portando al crollo della fauna locale e influenzando negativamente le attività umane, come la pesca. Le “zone morte”, già presenti in diverse aree costiere del mondo, sono un problema in espansione, legato all’inquinamento e al cambiamento climatico, e richiedono interventi urgenti per ridurre il loro impatto sugli ecosistemi marini e sull’economia globale.