I fondali oceanici, ricchi di misteri, hanno svelato la loro ennesima sorpresa: la presenza del particolare “ossigeno oscuro”.
Un affascinante mistero ha da sempre avvolto gli abissi oceanici, un luogo dove la luce solare non può penetrare e dove si pensava che la vita si reggesse su equilibri completamente diversi rispetto a quelli in superficie. Gli scienziati, fino ad ora, erano convinti che l’ossigeno, elemento vitale per la maggior parte degli organismi viventi, fosse prodotto unicamente attraverso la fotosintesi, un processo che necessita di luce. Tuttavia, le ricerche più recenti stanno scardinando questa certezza.
Le profondità marine rappresentano un territorio ancora in gran parte inesplorato, un mondo che nasconde segreti che sfidano la nostra comprensione. Le navi robotiche che esplorano questi fondali rivelano nuove forme di vita, creature aliene che vivono senza mai vedere il sole, in ecosistemi dove le regole della superficie sembrano non valere. In questo contesto, un gruppo di scienziati ha fatto una scoperta che ha lasciato increduli molti esperti, una scoperta che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione della produzione di ossigeno negli oceani.
A cinque chilometri di profondità, in un luogo inaccessibile per la luce solare, si trova un paesaggio disseminato di misteriosi noduli metallici, apparentemente insignificanti, ma che hanno un ruolo cruciale. Questi noduli, che si formano in milioni di anni raccogliendo metalli disciolti nell’acqua, sembrano svolgere una funzione molto più importante di quanto si pensasse in precedenza. La scoperta risale al 2013, quando i ricercatori notarono per la prima volta un fenomeno anomalo: la produzione di ossigeno in completa oscurità.
All’inizio, la teoria sembrava inverosimile. Come potrebbe essere possibile la generazione di ossigeno in assenza di luce? Una domanda che ha spinto i ricercatori a scavare più a fondo nella natura di questi noduli metallici, portando alla luce una risposta sorprendente.
Questi noduli, ricchi di metalli come il litio, il cobalto e il rame, agiscono come vere e proprie batterie. Quando si trovano immersi nell’acqua marina, generano una corrente elettrica sufficiente a scindere le molecole di acqua (H2O) nei loro componenti fondamentali: ossigeno e idrogeno. È un processo che non richiede la luce solare né l’intervento di organismi viventi, un sistema chimico completamente inedito che rivoluziona ciò che si sapeva sulla produzione di ossigeno in ambienti bui e profondi.
L’ossigeno “oscuro”, come è stato soprannominato, potrebbe sostenere forme di vita ancora sconosciute che abitano gli abissi oceanici. Questa scoperta pone, tuttavia, un interrogativo cruciale: cosa accadrebbe se l’industria mineraria, interessata a questi noduli per l’estrazione di metalli preziosi, interferisse con questo processo naturale? Gli scienziati temono che un’attività mineraria incontrollata potrebbe interrompere la produzione di ossigeno in queste aree, minacciando ecosistemi che dipendono da questo delicato equilibrio.
Le ricerche sono state condotte nell’area tra le Hawaii e il Messico, dove i noduli coprono vasti tratti del fondo marino. Questa stessa zona è già oggetto di interesse da parte di compagnie minerarie che sviluppano tecnologie per raccogliere questi preziosi materiali. Tuttavia, secondo gli scienziati, l’estrazione potrebbe comportare danni irreparabili agli ecosistemi marini.
Più di 800 esperti di scienze marine hanno firmato una petizione per fermare i piani di estrazione fino a quando non verranno condotte ulteriori ricerche. La scoperta dell’ossigeno “oscuro” suggerisce che ci siano ancora molti aspetti degli oceani che non comprendiamo appieno, e che una corsa all’estrazione potrebbe mettere a rischio non solo la vita marina, ma anche i delicati processi che sostengono la sua sopravvivenza.
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