La guerra si combatte in mare | Gli obiettivi non sono solo le grandi navi: si punta sempre più a oscurare l’informazione via internet

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La guerra si combatte in mare | Gli obiettivi non sono solo le grandi navi: si punta sempre più a oscurare l'informazione via internet (Pixabay Foto) - www.marinecue.it

La guerra si sposta sul mare, ma non riguarda le grandi navi. Gli obiettivi bellici arrivano fino al fondale.

Il mare è sempre stato teatro di scontri, con le potenze mondiali che combattono per il controllo delle sue acque e delle rotte commerciali. Le guerre in mare, già nell’antichità, determinarono il destino di intere nazioni, trasformando gli oceani in campi di battaglia. Con l’avvento delle flotte moderne, queste guerre sono divenute ancora più devastanti, mettendo in gioco non solo la potenza navale ma anche il dominio delle rotte strategiche e delle risorse sottomarine.

Nel corso della storia, le marine militari hanno evoluto le loro tattiche per affrontare minacce crescenti, sia sopra che sotto la superficie del mare. Le grandi battaglie navali, come quelle delle due guerre mondiali, hanno mostrato come la superiorità in mare potesse determinare l’esito dei conflitti globali. Nonostante i conflitti terrestri abbiano sempre catturato maggior attenzione, le guerre marittime hanno spesso agito nell’ombra, con operazioni strategiche e sabotaggi che potevano mutare gli equilibri geopolitici.

Le minacce in mare non sono limitate alle battaglie tra navi militari. Con lo sviluppo della tecnologia, anche le infrastrutture subacquee sono diventate obiettivi cruciali. Le reti di cavi sottomarini, che trasportano informazioni vitali tra continenti, rappresentano oggi una delle risorse più importanti per il funzionamento del mondo moderno. La loro distruzione potrebbe portare a conseguenze disastrose per la comunicazione e l’economia globale.

Negli ultimi anni, la guerra in mare ha assunto una nuova dimensione. Non si tratta più solo di colpire le flotte nemiche, ma di attaccare infrastrutture critiche nascoste sotto la superficie dell’acqua. Questo tipo di conflitto è subdolo, spesso invisibile, ma incredibilmente pericoloso. Gli Stati si trovano a dover difendere i loro cavi sottomarini e altre strutture essenziali, come oleodotti e gasdotti, da minacce che potrebbero arrivare da qualsiasi angolo del pianeta.

Gli attacchi ai cavi sottomarini

La recente preoccupazione delle autorità statunitensi riguardo all’aumento delle attività russe intorno ai cavi sottomarini non è un caso isolato. Il sabotaggio di queste infrastrutture rappresenta una minaccia concreta per la sicurezza globale. Questi cavi, lunghi centinaia di migliaia di chilometri, sono responsabili del 95% delle comunicazioni mondiali. Un attacco su larga scala potrebbe causare danni incalcolabili, interrompendo Internet e le comunicazioni in diverse parti del mondo.

L’eventuale attacco ai cavi potrebbe avvenire in diversi modi: da danni accidentali mascherati, come il trascinamento di ancore da parte di navi, fino all’uso di droni o esplosivi sottomarini. Tali operazioni non solo sono economiche, ma possono essere condotte senza lasciare tracce, rendendo difficile attribuire le responsabilità e organizzare una risposta efficace.

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La guerra si combatte in mare | Gli obiettivi non sono solo le grandi navi: si punta sempre più a oscurare l’informazione via internet (Pixabay Foto) – www.marinecue.it

la vulnerabilità delle infrastrutture sottomarine

I cavi sottomarini, nonostante la loro importanza cruciale, rimangono estremamente vulnerabili a sabotaggi e attacchi. Molti di questi cavi si trovano in acque internazionali, dove il diritto marittimo è poco chiaro e la sorveglianza è limitata. Questo crea una zona grigia in cui attori statali e non statali possono agire indisturbati, mettendo a rischio le comunicazioni e le economie di intere nazioni. Eventi recenti, come i sospetti attacchi al Nord Stream, hanno evidenziato la necessità di proteggere meglio queste infrastrutture.

Inoltre, le conseguenze di un attacco ben coordinato potrebbero essere devastanti, soprattutto per Paesi con poche connessioni ridondanti. Alcune regioni, come le isole remote o gli Stati con accesso limitato a reti terrestri, sono particolarmente vulnerabili. La mancanza di un sistema di sorveglianza subacquea rende difficile individuare immediatamente i danni e rispondere in modo efficace, prolungando il blackout delle comunicazioni.