A più di 30 anni di distanza rischi altissimi | L’ecosistema marino italiano rilascia ancora sostanze nocive per l’uomo
Nonostante siano passati più di trent’anni da questo disastro, le conseguenze nocive continuano a farsi sentire.
L’11 aprile 1991 segna una data tragica per la storia di Genova, ma anche per l’intero Mediterraneo. In quella giornata, un evento drammatico trasformò le tranquille acque al largo del porto in uno scenario apocalittico. Le esplosioni, le fiamme e il fumo avvolsero una gigantesca nave, la cui presenza era già familiare per chi abitava lungo la costa. Quel giorno, però, qualcosa andò storto, e le conseguenze si sarebbero fatte sentire per molti anni.
In pochi istanti, una serie di circostanze fatali diede il via a un disastro di proporzioni epiche. Quello che inizialmente poteva sembrare un semplice incidente a bordo di una nave ancorata divenne presto un incubo fuori controllo. Le squadre di soccorso si mobilitarono immediatamente, cercando di fronteggiare un pericolo non solo per la vita dei membri dell’equipaggio, ma anche per l’ambiente circostante. Tuttavia, domare l’elemento più distruttivo in natura si rivelò una sfida insormontabile.
L’evento causò preoccupazione non solo per l’entità dei danni immediati, ma anche per ciò che sarebbe potuto derivare nei giorni successivi. Le acque del Mediterraneo, cuore pulsante di molteplici attività umane, erano ora in pericolo. Le autorità locali e internazionali si resero subito conto che la risposta a questa emergenza non si sarebbe esaurita in poche ore. La lotta contro il tempo per contenere i danni ambientali era appena iniziata.
Il disastro non era solo un problema locale; avrebbe portato a rivedere procedure, protocolli e standard di sicurezza. L’esplosione della nave e la sua lenta discesa verso i fondali rappresentavano, simbolicamente, anche l’inizio di un lungo dibattito su come prevenire futuri disastri simili. La sfida non era solo spegnere le fiamme, ma anche garantire che un tale avvenimento non si ripetesse più.
Lo sversamento di petrolio e i problemi ambientali
Quando la MT Haven esplose al largo del porto di Genova, oltre alla tragedia umana, si profilò uno scenario devastante per l’ambiente. Lo sversamento di petrolio, il più grande mai registrato nel Mediterraneo, riversò in mare una quantità compresa tra le 10.000 e le 50.000 tonnellate di greggio. Le operazioni di contenimento furono difficoltose e durarono a lungo, poiché una parte del petrolio si depositò sui fondali, mentre altre tonnellate galleggiavano sulla superficie del mare.
Le conseguenze non furono solo limitate al mare, ma anche alle coste vicine. Nel Golfo di Genova, il greggio raggiunse spiagge e fondali, contaminando habitat e specie marine. Il recupero del petrolio richiese anni di lavoro e numerose risorse, e, nonostante i sforzi, il disastro lasciò segni profondi.
Gli effetti di lunga durata sull’ambiente
Le operazioni di recupero durarono oltre un decennio, ma i danni all’ecosistema non furono completamente riparati. Alcune specie marine, come i molluschi e i pesci di fondale, risentirono pesantemente delle alte concentrazioni di inquinanti, compromettendo la biodiversità della zona. La pesca nell’area colpita subì un calo significativo, con una riduzione fino al 43% del pescato rispetto agli anni precedenti il disastro.
I fondali marini, soprattutto nelle zone più profonde, rimasero contaminati da residui di petrolio, formando uno spesso strato di bitume che modificò l’ecosistema e rese impossibile una completa bonifica. Anche negli anni successivi, monitoraggi ambientali rivelarono tracce di inquinamento nelle acque, confermando che gli effetti dell’incidente erano destinati a durare nel tempo, con un impatto persistente sugli habitat e sulle attività umane della regione.