Come fa una nave a mantenere una posizione fissa, considerando l’ambiente mutevole e dinamico in cui opera? Senza dubbio questa domanda sorge spontanea a chi osserva una nave ferma in alto mare, in attesa per esempio di poter attraccare in porto. La risposta a questa domanda risiede nell’importante ruolo svolto dall’ancora. Le ancore navali sono l’organo destinato a far presa sul fondo del mare per reagire alle azioni esterne, quali vento e corrente, che tendono a spostare la nave dalla posizione di sosta.
Assolutamente no! Le tipologie di ancore sono molteplici e si caratterizzano in base:
In base alla loro geometria, esistono diverse varietà di ancore. Tutte le ancore oggi utilizzate, fanno derivare la nomenclatura delle loro parti costituenti, dalla cosiddetta ancora dell’ammiragliato. L’ancora dell’ammiragliato è un’ancora utilizzata oggi esclusivamente per barche d’epoca o da esposizione.
Essa è costituita da un corpo centrale detto fuso alle cui estremità è sistemato da un lato il diamante e dall’altro la testa. Dal diamante si dipartono due bracci fissi i quali presentano un’estremità larga chiamata patta o orecchia che terminano con una punta detta unghia, per facilitare la penetrazione e consentire una buona presa sul fondo. Nella testa, invece, sono praticati due fori: in uno alloggia il maniglione dell’ancora, detto cicala, che serve per collegare l’ancora alla catena; mentre l’altro accoglie un asta di ferro chiamata ceppo, che giace in un piano ortogonale a quello dei bracci.
La presenza del ceppo fa sì che qualora l’ancora dovesse adagiarsi sul fondo con entrambi i bracci rivolti verso l’alto si ha il ribaltamento della stessa, favorendo in tal modo la presa sul fondo di una dei due bracci. Quando l’ancora è a bordo il ceppo va sfilato e posto parallelamente al fuso.
Le ancore moderne sono invece a bracci snodati e presentano un duplice vantaggio: entrambi i bracci fanno presa sul fondo e non è necessario il ceppo. In questo modo si realizza uno strumento più compatto, facilmente manovrabile ed efficace. La più diffusa sulle navi è quella di tipo HALL in cui i bracci possono ruotare fino a 45° rispetto al fuso.
A seconda della funzione cui sono destinate a bordo le ancore vengono distinte in:
Per quanto riguarda la loro fabbricazione, le ancore possono essere costruite in acciaio fucinato o in acciaio fuso; mentre gli accessori, e cioè perni chiavette ecc. sono sempre realizzati per fucinatura. In particolare, la costruzione per fucinatura richiede una lavorazione a caldo del materiale, sfruttando la duttilità dell’acciaio alle alte temperature. Il manufatto, dopo essere stato portato al color rosso, viene martellato fino a fargli assumere la forma desiderata. Al termine della lavorazione si esegue il collaudo, che prevede una prova di trazione, dove il manufatto viene sottoposto ad un tiro di prova calcolato in funzione del peso dell’ancora.
La costruzione per fusione prevede invece una colata di acciaio fuso in uno stampo che riproduce in negativo la forma de manufatto da realizzare. Questa lavorazione a differenza di quella per fucinatura comporta numerosi inconvenienti, legati essenzialmente alla fase del raffreddamento. Infatti, è possibile che un raffreddamento non uniforme o non eseguito nei tempi regolamentari possa portare a presenza di difetti quali inclusioni, cricche, tensioni interne; o ancora possa provocare il fenomeno del ritiro del materiale o la sua deformazione. Di conseguenza, il collaudo oltre alla prova di trazione prevede anche una prova di caduta e una di martellamento.
Nella prova di caduta l’ancora viene lasciata cadere in piano su una suola di ferro di almeno 10 centimetri da un’altezza che può variare dai 4.5 ai 3.5 metri in funzione del peso In particolare, quando si tratta di un’ancora a bracci fissi va effettuata un’ulteriore prova di caduta, questa volta verticalmente con il diamante in basso, ed in modo che i bracci incontrino a circa metà della loro lunghezza due blocchi ferro preventivamente sistemati sulla suola, di altezza sufficiente ad impedire che il diamante urti sulla suola stessa. La prova di martellamento, invece, prevede che l’ancora sia battuta con una mazza del peso di almeno 3 chilogrammi. Dalla natura del suono si giudica se il pezzo è perfettamente sano.
In merito al potere ancorante l’ancora deve possedere un adeguato potere ancorante, Pa, che si contrappone alla risultante, R, delle forze esterne (che l’ambiente esercita sulla nave e che si trasferisce proprio all’ancora attraverso la catena a cui essa è collegata) in modo da mantenere saldamente ancorata un’imbarcazione in un dato punto. In altre parole il potere ancorante coincide con la forza necessaria a staccarla dal fondo.
Il potere ancorante risulta funzione del peso dell’ancora, Wa, della sua geometria, dell’angolo di tiro θ e dalla natura del fondale (sabbioso, fangoso, argilloso). I costruttori di ancore forniscono, per una determinata geometria di ancora, il valore del potere ancorante inteso come rapporto caratteristico Pa / Wa.
Al fine di determinare i valori di Pa / Wa per una determinata ancora di geometria e peso noto, i costruttori di ancore eseguono una prova pratica che consiste in una prova di tiro (funzione dell’angolo di tiro θ) su un fondale sabbioso (la scelta di un fondale sabbioso è dovuto alla necessità di avere un fondale quanto più coerente possibile in modo da rendere la prova ripetibile).
Il funzionamento ideale dell’ancora corrisponde ad un tiro orizzontale (θ = 0); mentre il potere ancorante si riduce all’aumentare dell’angolo θ (in queste condizioni, infatti, il tiro ammette una componente verticale che tende a divellere l’ancora dal fondo, riducendone la capacità ancorante).
In base al potere ancorante i registri di classifica distinguono:
Anche in questo caso la risposta è no! Come in ogni problema ingegneristico la verità sta nel mezzo. Infatti ne emerge che non esiste un’ancora perfetta per ogni nave poiché la sua scelta è caratterizzata da esigenze dettate dal profilo di missione dell’imbarcazione e dall’ambiente marino in cui opera, sottolineando la versatilità e l’importanza cruciale di questi strumenti marini.
A cura di Riccardo Strino
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