Quando si associano le parole propulsione e navale la prima cosa che salta alla mente sono le eliche, senza considerare non solo la grande vastità di propulsori navali effettivamente presenti. Si pensi all’idrogetto, ai rotori epicicloidali e così via, ma anche senza tenere in considerazione l’enorme tecnologia “nascosta dietro” all’elica stessa, ossia al cuore dell’impianto di propulsione navale per eccellenza, vale a dire il motore a combustione interna. Ovviamente, questo è, almeno per ora, il traguardo ultimo di un progresso tecnologico che non si arresterà mai e che iniziò con la turbina a vapore.
Sebbene il loro utilizzo tra i propulsori navali sia da collocare verso la fine del XIX secolo, l’uso del vapore per propellere natanti risale addirittura al XVIII secolo, per la precisione al 1707, quando il francese David Papin realizzò il primo battello a vapore. Ritornando alle turbine a vapore la prima nave a farne uso fu la Turbinia nel 1894, progettata da Charles Parson. Purtroppo, il battesimo non fu dei migliori in quanto la velocità che si raggiunse fu di 19 nodi, decisamente inferiore ai 30 previsti. Tale insuccesso fu da attribuire al fenomeno della cavitazione, ancora sconosciuto a quei tempi e che fu oggetto di studio proprio da Parson stesso che, non perdendosi d’animo, ridistribuì la potenza su tre diverse linee d’assi e, quindi, su tre eliche, raggiungendo la velocità di 34 nodi.
La turbina a vapore si impose ben presto come propulsore navale, soppiantando la macchina alternativa grazie alla capacità di invertire la marcia, di equiparare il numero di giri della macchina con quella dell’elica e ad un aumento del rendimento ai carichi ridotti. A questo punto, senza entrare troppo nello specifico, vale la pena fare una panoramica della metodologia di funzionamento tipica di una turbina a vapore.
Sono due le cose da specificare quando si parla di questa tipologia di propulsori navali: la prima è che le sue dimensioni sono strettamente collegate sia alla potenza erogata che alla portata di vapore; inoltre, il salto entalpico subito dal vapore stesso è tale da non poter essere smaltito in un singolo stadio, da un lato perché i valori della velocità del vapore sarebbero così alti da comportare intollerabili perdite per attrito, dall’altro perché le velocità periferiche della girante assumerebbero valori tali da sottoporre l’intera struttura a sollecitazioni anomale e di difficile sopportazione.
La prima conseguenza di questa osservazione è la realizzazione di turbine di soli stadi ad azione al fine di ridurne l’ingombro; va però sottolineato che il maggiore costo di una macchina di questo tipo, motivo per il quale si opta per una struttura mista nella quale gli stadi di azione sono collocati nella zona di testa con l’obiettivo di ridurre il più velocemente possibile la pressione e la temperatura del vapore. Sono poi gli stadi a reazione a sviluppare il restante salto entalpico.
Le differenze tra i due stadi non si manifestano solo a livello termodinamico ma anche sul piano costruttivo; infatti, una turbina a reazione presenta uno rotore costituito da un tamburo alla cui estremità si collocano le pale, collocate molto vicino a quelle del rotore, formato a sua volta da due semi-casse, una inferiore ed una superiore. Di contro, una turbina ad azione presenta un rotore realizzato mediante un albero su cui sono calettati numerosi dischi alla cui periferia si collocano le pale. Le modeste dimensioni della parte rotorica ha come conseguenza che le palette dello statore, anche qui contenute in una semi-cassa, si collocano ad una distanza maggiore, cosa che impone la realizzazione di un diaframma. Questo è il motivo per il quale si ha un incremento dei costi di realizzazione.
Generalmente, in ambito navale, i progettisti dividono la turbina viene in due corpi, uno di alta e l’altro di bassa pressione, disposti in maniera incrociata, detto del tipo cross-compound. Una soluzione di questo tipo consente di soddisfare a due esigenze contrapposte: nella zona ad alta pressione, dove la portata volumetrica risulta molto piccola, si usano sezioni di passaggio molto piccole e, quindi, per minimizzare le perdite di attrito e volumetriche del fluido, si assegnano valori piuttosto contenuti al diametro, aumentando il numero di giri, cosa che consente, a parità di velocità periferica, di non ridurre troppo l’altezza delle pale; viceversa, negli stadi di bassa pressione, il forte aumento della portata volumetrica fa crescere di molto la zona di passaggio, pertanto si installano pale piuttosto sviluppate in altezza; conseguentemente, per evitare problemi di progettazione meccanica, si aumentano i diametri e si diminuisce il numero di giri. A titolo di esempio si riporta di seguito una fotografia del motore principale del celeberrimo transatlantico oceanico Queen Mary, propulso tramite turbina a vapore a stadio misto.
Sul piano storico è comunque necessario specificare che la turbina a vapore ha dominato il panorama dei propulsori navali solo per breve periodo, venendo pian piano soppiantata e sostituita dal motore a combustione interna, avente un rendimento di gran lunga maggiore; alcune applicazioni permangono ugualmente tutt’ora, soprattutto a bordo delle metaniere o di navi militari in accoppiamento con la turbina a gas.
Va specificato che quest’ultima si affermò solo recentemente nella sfera delle navi mercantili, avendo sempre trovato applicazioni a bordo di navi militari grazie all’enorme vantaggio di un ottimale rapporto potenza volume. Infatti, senza voler entrare nei dettagli tecnici delle turbine a gas, tale indubbio vantaggio è da ricollegarsi da un lato al fatto che i rispettivi impianti non presentano alcuna apparecchiatura da destinare alla sottrazione del calore, dall’altro ad una più semplice e compatta camera di combustione. In aggiunta a ciò, le pressioni di esercizio sono più piccole di quelle di una turbina a vapore e di un motore a combustione interna e possiede un ridotto numero di ausiliari, peculiarità che permettono di alleggerire ulteriormente l’impianto.
Ovviamente, ingombri ridotti implicano maggior spazio da destinare al carico pagante e forme di poppa più assottigliate. Contemporaneamente, il tempo che la turbina a vapore impiega a raggiungere il massimo carico è di appena quattro minuti, cosa che la rende vantaggiosa a bordo di quelle navi, come i traghetti, che percorrono tratte particolarmente brevi. Inoltre, l’uso esclusivo del MDO permette un ridotto livello di emissioni, mentre la struttura più semplice consente un premontaggio ed una prova a terra, senza necessità di imbarco.
Tutti questi vantaggi si scontrano con il fatto che i rendimenti più bassi determinano una maggiore emissione di anidride carbonica e con le dimensioni maggiori dei riduttori, attribuibili alle più alte velocità di rotazione rispetto a quelle di un tradizionale motore a combustione interna. Il primo dei due inconvenienti appena elencati è la principale causa che ha portato ad un tardivo utilizzo della turbina a gas nella marina mercantile; infatti, rendimenti più bassi non si associano solamente a più elevate emissioni di CO2, ma anche ad un notevolmente più alto consumo di combustibile, soprattutto ai bassi carichi.
La necessità di usare solo oli distillati leggeri ha rallentato lo sviluppo di questa tipologia di impianto nella propulsione navale, certamente meno inquinanti dei combustibili pesanti ma anche di gran lunga più costosi.
A conclusione di questa panoramica degli impianti di propulsione navale più utilizzati in ambito navale è doveroso inserire la propulsione elettrica. Sebbene nell’immaginario collettivo l’uso del motore elettrico sui mezzi di trasporto sia solo di recente fattura, la verità, come spesso accade in questi casi, è di gran lunga diversa; infatti, già a partire dai primi anni del XX secolo si sono potute contare le prime navi con propulsione turbo-elettrica, come l’unità militare statunitense New Mexico, entrata in servizio nel 1917.
La causa principale che portò a questo forte interesse verso il settore elettrico era da ricercare alle difficoltà realizzative dei riduttori di giri, soprattutto per via delle velocità particolarmente elevate della turbina. In Italia, degna di nota è stata la costruzione della Salernum, posacavi dotata di un sistema di propulsione ibrido, ossia sfruttante due motori elettrici per le operazioni di posa e due motori diesel per la navigazione di trasferimento della nave.
Va sottolineato che le prime applicazioni prevedevano l’installazione di un motore a corrente continua, soluzione divenuta sempre più sconveniente al crescere delle potenze da erogare, a causa dell’eccessiva e consequenziale crescita in dimensioni, cosa che portò al sopravvento dei motori a corrente alternata. La principale peculiarità di questa tipologia di propulsione è da ricercarsi nella totale indipendenza che si ha tra il motore termico destinato alla produzione di energia elettrica e quello elettrico destinato alla propulsione; ciò è dovuto al fatto che non è necessaria la realizzazione di un collegamento meccanico tramite assi ma di un collegamento tramite cavo.
I vantaggi che si ottengono da questa soluzione sono molteplici ed evidenti; infatti, è possibile spostare il motore elettrico nella parte alta della nave guadagnando così maggiore spazio da destinare al carico, cosa che si traduce nella realizzazione di ulteriori cabine per l’alloggiamento dell’equipaggio, o, ancora, ad una caricazione di gran lunga più semplice di mezzi gommati, condizione utile per i traghetti. Ulteriore vantaggio è la possibilità di determinare in maniera istantanea ed immediata la marcia indietro, cosa che favorisce di gran lunga la manovrabilità e, quindi, la sicurezza della nave. In più, l’assenza di vibrazione rende notevolmente più confortevole la navigazione.
Infine, i progettisti prediligono il motore elettrico in presenza della necessità di erogare valori alti della coppia ai bassi giri; a valle di tutto questo vanno poi sommati i vantaggi ambientali legati alle emissioni. La principale negatività di questa tipologia di propulsione è da ricercare nel valore più basso del rendimento per via di una maggiore componentistica che vede aggiungersi il rendimento del generatore elettrico, del dei trasformatori, dei convertitori e del motore elettrico di propulsione. La massima espressione della propulsione elettrica in ambito navale è data dagli AZIPOD, sviluppati negli anni 90’ del secolo scorso.
La stampa tende a mostrare motore termico ed elettrico spesso come alternativi uno all’altro, in verità esiste una particolare variante, detta ibrida, nella quale i due sistemi possono anche contribuire simultaneamente alla propulsione della nave. Vale la pena sottolineare come le soluzioni passate al vaglio in questo paragrafo non devono essere intese come le uniche e sole, essendo il mondo dell’ingegneria sempre in sviluppo e, fortunatamente, mai statico.
Uno dei maggiori successi di recente fattura è lo sviluppo di motori diesel quattro tempi dual fuel. Questi ultimi sono stati sviluppati inizialmente a bordo delle metaniere, dove la turbina a vapore, grazie soprattutto alla sua capacità di bruciare con elevata efficienza i Boil Off Gas (BOG) insieme all’Heavy Fuel Oil, è sempre stata considerata la prima scelta come impianto di propulsione.
Quest’ultima, comunque, recentemente è stata sostituita, almeno nelle applicazioni dove sono richiesti diversi valori della potenza, da motori diesel elettrici, dove il carico viene ripartito tra più motori termici che lavorano sempre alle condizioni di massima efficienza; pertanto, il carico richiesto per movimentare la nave alla velocità desiderata viene ottenuto scollegando dal motore elettrico uno o più di questi motori. Questi ultimi a loro volta saranno capaci di essere alimentati sia attraverso i BOG, miscelati opportunamente con il Marine Diesel Oil, sia solamente con il gasolio.
Entrando più nel dettaglio della prima casistica di funzionamento, durante la fase di aspirazione il collettore di aspirazione determina l’ingresso di aria e gas metano; una carica, detta pilota, di gasolio, iniettata attraverso un piccolo foro praticato sull’iniettore, sollecita la combustione. Questa carica si autoaccende consentendo la combustione del metano.
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