Vi siete mai chiesti se Spongebob e il suo amico Patrick Stella abbiano mai viaggiato? Vi immaginate i due ingenui e forse fin troppo infantili amichetti intenti a prendere un aereo per andare a passare le vacanze invernali sugli iceberg del Mar del Nord? Di tutta questa vignetta la cosa più irrealistica è che una spugna e una stella marina possano prendere un aereo, perché, in fin dei conti, le due specie marine hanno effettivamente modo di viaggiare ma a bordo delle navi. Andiamo con ordine e vediamo in cosa consiste la gestione delle acque di zavorra.
Con il termine zavorra si intende il carico liquido o solido imbarcato su una nave per incrementarne la stabilità e l’equilibrio, ma cosa significa? Avete presente il detto “più sono alti più fanno rumore quando cadono?”, perfetto, questa frase può essere applicata anche alle navi. La porzione di nave che sporge dall’acqua dipende dalla quantità di carico che trasporta, quindi, una nave a pieno carico presenta la minima superficie morta possibile e proprio per questo, soggetta a una maggiore stabilità.
Viceversa, una nave scarica ha una porzione immersa molto piccola e quindi ha un equilibrio estremamente ridotto e, di conseguenza, anche una minima “spinta” laterale potrebbe minarne la stabilità determinando oscillazioni eccessive in termini di sicurezza. È ovvio specificare che l’analisi appena fatta è estremamente semplicistica e se riproposta in sede d’esame porterebbe ad una immediata bocciatura. Ciononostante, un’analisi dettagliata della statica dei galleggianti esula dagli obiettivi di questo articolo, pertanto diamo per buono quanto appena detto e andiamo avanti.
Quindi, per incrementare la stabilità di una nave scarica viene imbarcata acqua in maniera controllata (quindi senza urlare all’allagamento) per determinare un graduale e voluto “affondamento” fino all’immersione richiesta. Per capire i problemi ambientali legati a questa pratica va sottolineato che lo zavorramento di una nave può aversi anche quando questa è stata caricata o in maniera parziale o in maniera tale da aver determinato un’inclinazione o a dritta o a sinistra. In questi casi la zavorra è imbarcata come correttore d’assetto.
Nei casi in cui ciò si verifica per navi battenti rotte transoceaniche, quindi attraversanti continenti, emisferi e oceani differenti, capita che la zavorra imbarcata in una certa regione contenga specie marine, virus e batteri nocivi o autoctoni di quella specifica zona e, pertanto, una volta rilasciati a navigazione completata, in un’altra zona del globo, questi “inquinino” l’habitat di arrivo determinando un danno ambientale silenzioso, quasi invisibile ma altamente nocivo.
Proprio in ragione di ciò la comunità scientifica si è mobilitata per ridurre e annullare del tutto l’impatto distruttivo del trasferimento di specie aliene sia sul piano tecnologico che su quello normativo e burocratico. Si parla così di “Ballast Water Management” (BWM), ossia “Gestione delle acque di zavorra”, in italiano.
Il problema è meno recente di quanto si pensi, infatti già nel 1903 gli scienziati riconobbero la presenza di specie invasive e aliene nel Mar del Nord; eppure, solamente nel 1970 la comunità internazionale iniziò a porre la propria attenzione nei confronti di questa minaccia sempre più concreta tanto che, nel 1980, Canada e Australia furono soggette a gravi problemi di invasività di organismi provenienti da habitat esterni. Infatti, uno degli esempi più eclatanti è dato dalla Dreissena polymorpha, trasportata dal Mar Nero all’Europa e al Nord America.
Trasportata in forma di larva ha proliferato in maniera incontrollata negli ambienti appena detti in quanto del tutto privi di suoi predatori naturali, alterando il già fragile equilibrio dei mari e degli oceani, causando non poche problematiche anche alle infrastrutture e alle navi con ingenti danni economici. Altrettanto curiosa di visitare il mondo è stata l’Asterias amurensis che dal Nord Pacifico è approdata all’Australia del Sud, riproducendosi in larga maniera e invadendo ogni ambiente.
Get an early start to comply with the ballast water discharge standards from Wilhelmsen group on Vimeo.
Fu in questo contesto fu che l’IMO, International Maritime Organization, siglò il MEPC, ossia il Marine Enviroment Protection Committee. Meglio tardi che mai. La difficoltà di trovare una soluzione a questo annoso problema è legata soprattutto al notevole traffico marittimo internazionale e alla necessità di una collaborazione chiara e trasparente, sinergica e non egoistica, tra i singoli stati affinché loro guardino oltre il proprio orticello e collaborino per una soluzione comune.
Cosa che si ebbe efficacemente per combattere il tristemente noto buco nell’ozono ma che non si è ancora manifestata nel caso del contrasto ai cambiamenti climatici. Inoltre, è palese l’impossibilità di effettuare un controllo a tappeto e costante di ciò che le navi ed il proprio equipaggio facciano in mare aperto. Sul piano burocratico possono anche essere stipulate le normative migliori possibili ma se poi, in pieno oceano, tutto ciò viene ignorato il problema è ben lontano dall’essere risolto. Comunque sia, queste sono chiacchiere da bar, quindi torniamo sui nostri passi.
L’IMO, presa coscienza della problematica, emana e rende obbligatorie delle normative utili ad una corretta gestione delle acque di zavorra, normative che verranno via via aggiornate con l’avanzare degli studi e della tecnologia esistente. Una volta disposte le nuove linee guida, gli Enti di Classificazione dei singoli stati sono stati chiamati a prendere atto della nuova realtà dei fatti e a non rimanere indietro.
Proprio per questo, anche il Registro Italiano Navale (RINA) ha finanziato e sviluppato programmi di studio per continuare a rimanere competitiva ed aggiornata sul piano internazionale, offrendo consulenza ingegneristica e non solo con l’obiettivo di fornire alle varie navi soluzioni non solo moderne ma anche in linea con il loro particolare profilo di missione e area di navigazione. Infatti, va specificato che il problema è reso maggiormente complesso dal fatto che non solo esistono delle leggi internazionali e, quindi, generali sui trattamenti dell’acqua di zavorra ma anche delle norme locali emanate dai singoli Stati sulla base della loro realtà e soggettività.
Degna di nota è l’iniziativa IV-BWTS finanziata dall’Unione Europea per il trattamento dell’acqua di zavorra, consistente nell’usare quella che tendenzialmente sarebbe energia di scarto, ossia il calore proveniente dai motori, per eliminare, mediante riscaldamento, le specie contenute nell’acqua di zavorra.
Il vantaggio di questa tecnologia è la sua ecocompatibilità in quanto evita di usare soluzioni quali i raggi UV o sostanze chimiche che, sebbene comunque valide e di successo (come quelle sviluppate ed immesse sul mercato dal colosso finlandese della Wartsila), necessitano di una fonte energetica per azionarsi e funzionare. In più, ulteriore vantaggio della soluzione proposta dall’UE è che, sfruttando una fonte di calore proveniente da strumenti già presenti e largamente usati a bordo delle navi, non necessita né di ulteriore addestramento da parte del personale marittimo né di ingenti investimenti economici volti all’installazione di invasivi e costosi impianti.
A conclusione di questo articolo possiamo tranquillamente dire che se gli obiettivi dell’IMO verranno, come ci auguriamo, raggiunti Spongebob e i suoi amici non potranno più muoversi da un oceano all’altro per le loro vacanze a meno che non vorranno tastare l’effettiva efficacia del Ballast Water Management, cosa che sconsiglierei vivamente per la loro incolumità.
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