Svezia e Finlandia devono convincere la Turchia per entrare nella NATO che ancora è assai titubante. Secondo Ankara i due Paesi scandinavi sono troppo ostili nei confronti della Turchia. Tra le varie cose pesa molto il divieto, sempre da parte di Svezia e Finlandia, di esportare i propri armamenti in Turchia. Quasi tutti gli alleati hanno invece già approvato l’ingresso dei due candidati con 28 ratifiche su 30. Al momento sono rimasti in sospeso i governi di Turchia e Ungheria, quest’ultima intenta a formalizzare la sua ratifica nel primo trimestre dell’anno.
La situazione è abbastanza delicata. Sia la Finlandia che la Svezia hanno imposto un divieto formale alle esportazioni di armamenti verso la Turchia. Questo blocco è dovuto essenzialmente a quanto accadde in Siria dal 2016 al 2019. La Turchia ha lanciato diversi attacchi terrestri contro i curdi siriani ricevendo pesanti ammonimenti dai due Paesi nordici.
Un altro motivo va ricercato nelle questioni che riguardano la sicurezza. Svezia e Finlandia avevano tempo fa messo in discussione il piano della Turchia di istituire una zona di sicurezza larga 18,6 miglia nel nord della Siria. Si aggiunge poi la situazione politica interna turca che si avvicina alle elezioni parlamentari di giugno 2023. Il ritardo della Turchia è anche dovuto al fatto che l’espansione della NATO è tra le questioni cruciali ai fini delle elezioni.
Helsinki e Stoccolma costruiscono ponti politici e con questi mirano a edificare maggiore fiducia da parte di Ankara. Il ministro della Difesa finlandese Antti Kaikkonen afferma che la Finlandia è pronta a rivalutare le restrizioni sull’esportazione di armamenti nazionali:
“A poco a poco dobbiamo raggiungere una posizione che ci permetta di considerare la Turchia come un futuro alleato. Dobbiamo prendere in considerazione, nell’ambito della politica complessiva relativa alle esportazioni di armi verso la Turchia e al rilascio di permessi di esportazione, come sviluppare un nuovo mindset per migliorare le relazioni con Ankara”.
Anche il Ministero della Difesa svedese esamina quali cambiamenti politici potrebbe adottare per consentire ai gruppi di difesa nazionali di ottenere licenze di esportazione. In questo modo la Svezia si allinea alla Finlandia per accontentare la Turchia sulla questione degli armamenti. Già queste promesse hanno migliorato notevolmente le relazioni con il futuro alleato ma da sole non bastano.
Per la Turchia questa è una ghiotta occasione. Ha astutamente sfruttato il processo di ratifica riguardo l’adesione di Svezia e Finlandia come opportunità per ottenere concessioni da altri Stati membri della NATO. Ad esempio, la Turchia ha chiesto al governo statunitense l’approvazione per ammodernare i suoi caccia F-16.
Finlandia e Svezia sono motivate a risolvere il problema dell’esportazione di armi, anzi è plausibile un capovolgimento della situazione. Da un totale rifiuto all’invio di armi, le due nazioni nordiche potrebbero addirittura competere per accaparrarsi i contratti militari turchi. Sempre Ankara, inoltre, prova a prendersi il dito con tutto il braccio pretendendo l’eliminazione degli embarghi sugli armamenti anche da parte di altri membri della NATO.
La Turchia potrebbe addirittura approvare la candidatura della Finlandia e contemporaneamente rifiutare quella della Svezia. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è consapevole che questa scelta avrà forti ripercussioni diplomatiche, tuttavia non scarta l’ipotesi.
Secondo alcuni media, ad irritare il Presidente turco è stato Rasmus Paludan, fondatore e leader del partito di estrema destra Stram Kurs. Già dal 2019, il politico brucia libri del Corano in pubblico durante manifestazioni anti-islam. Venerdi 27 gennaio Paludan ha ripetuto il gesto a Stoccolma, davanti all’ambasciata turca, per protestare contro la posizione di Ankara riguardo l’ingresso nella NATO della Svezia. Erdogan ha accusato la Svezia di difendere terroristi e dopo averle fornito una lista di nomi la invita a procedere all’estradizione:
“Abbiamo dato alla Svezia una lista di 120 persone e abbiamo detto loro di estradare quei terroristi nel loro Paese. Se non li estrada, allora mi dispiace”.
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