Ingegneria Navale

Meganavi: come sta cambiando la stazza delle navi mercantili?

Dal 1995 al 2014 la stazza media delle navi mercantili è aumentata del 79%, con un picco del 90% per le navi porta container. Questo significa che nell’arco di 20 anni la grandezza media di queste navi è quasi raddoppiata. Dal 2014 ad oggi la tendenza non si è arrestata o invertita, il contrario. Dal 2018 al 2020 sono state commissionate 79 nuove navi capaci di movimentare almeno 20.000 container standard. Tuttavia, l’era delle meganavi potrebbe avvicinarsi ad una fine, o quantomeno ad un arresto. Infatti, superata una certa stazza, gli inconvenienti legati alla gestione delle meganavi cargo potrebbero superare i benefici. Tutto ciò è legato alle infrastrutture portuali, alla gestione del traffico merci, alle rotte commerciali ed al mercato delle assicurazioni. Vediamo perché.

Meganavi: definire la grandezza di una nave

Per parlare di giganti del mare, bisogna chiarire come si determina la “grandezza” di una nave. Le unità di misura più diffuse sono due: il Gross Tonnage (Stazza Lorda) ed il TEU. La stazza lorda viene definita dall’International Maritime Organization (IMO) come i volumi complessivi di una nave, che comprende sia i volumi utilizzati per il trasporto del carico che quelli riservati agli impianti e alle macchine (motori, generatori elettrici, impianti di condizionamento).

In ambito commerciale, la stazza della nave viene misurata anche con il numero di container di dimensioni standard che riesce a movimentare. La dimensione standard ISO di un container è definita “TEU” (Twenty-foot equivalent unit), in quanto il container standard è lungo 20 piedi. Quindi una nave con stazza pari a 1000 TEU è in grado di trasportare 1000 container ISO. L’unità di misura TEU si applica evidentemente alle navi portacontainer.  In base a queste definizioni di grandezza, queste imbarcazioni si dividono nelle seguenti categorie:

  • Small Feeder –  fino a 1.000 TEU;
  • Feeder – da 1.001 a 2.000 TEU;
  • Feedermax – da 2.001 a 3.000 TEU;
  • Panamax – da 3.001 a 5.100 TEU;
  • Post-Panamax – da 5.101 a 10.000 TEU;
  • New Panamax (o anche Neo Panamax) – da 10.000 to 14.500 TEU;
  • Ultra Large Container Vessel (ULCV) –  superiori a 14.501 TEU.

Ad esempio, le classi di navi Panamax sono delle tipologie di porta container appositamente progettate per attraversare il canale di Panama.

Storia delle Meganavi

Le navi portacontainer si sono diffuse notevolmente a partire dagli anni ’80, in seguito alla crisi petrolifera che ha fatto dismettere molte petroliere. Poi, dal 2000, le portacontainer hanno avuto una crescita vertiginosa, ed il loro valore finanziario oggi supera i 200 miliardi di dollari, contando il 25% del mercato totale. Dal 2000, gran parte dei container movimentati viaggia su navi classe New Panamax, con capacità superiore ai 10.000 TEU. Dal 2011 al 2021 la quota di navi con capacità almeno pari a 10.000 TEU è passata dal 6% al 40% del totale. Nello stesso periodo sono state costruite quasi 100 navi con capacità compresa tra 15.000 e 20.000 TEU. Dal 2018 al 2020 sono state commissionate 79 nuove navi con capacità maggiore di 20.000 TEU. Di seguito la lista delle navi portacontainer, meganavi, più grandi del mondo:

  • Ever Ace – 23.992 TEU;
  • HMM Algeciras – 23.964 TEU;
  • HMM Oslo – 23.792 TEU;
  • MSC Gulsun – 23.756 TEU;
  • MSC Mina – 23656 TEU.

Queste navi hanno dimensioni che si aggirano intorno ai 400 m in lunghezza e 60 m in larghezza, come 4 campi da calcio messi insieme. Sembra chiaro che, nell’ultimo decennio, per gli armatori “più grande” significa “migliore”. Per molti aspetti questa visone è giustificata. Una nave capace di trasportare grossi carichi permette di sfruttare i vantaggi dell’economia di scala, come: ridurre il costo della nave per unità di carico, ridurre il consumo ed il costo del carburante.

Infatti, la spesa per il carburante può impattare per il 60% dei costi operativi di una nave cargo. Il consumo di carburante è strettamente legato alla velocità di navigazione. Una nave New Panamax o ULVC può permettersi di ridurre la velocità di navigazione rimanendo competitiva grazie alla grossa quantità di merci spostate. Il risultato è che il consumo di carburante per unità di merce si riduce. Fin qui è chiaro perché le società di commercio marittimo abbiano scelto di puntare sui giganti del mare.

Futuro incerto

Tecnicamente, non c’è limite alla stazza delle navi. L’ingegneria navale potrebbe superare i suoi limiti e costruire navi più grandi. Il vero problema tecnico sarebbe rappresentato dai container, che essendo stipati uno sull’altro potrebbero collassare sotto il proprio peso. Ma una soluzione si troverebbe. Ciò che contrasta davvero l’era delle giganti del mare è tutta l’impalcatura che sostiene il commercio marittimo: le infrastrutture portuali, le rotte d navigazione, la logistica e le società assicuratrici.

La logistica

Iniziamo con la logistica. Una nave cargo per essere economicamente efficiente deve essere caricata per almeno il 90% della sua capacità. Quindi, in un periodo di recessione economica e riduzione del commercio sarebbe complicato mantenere grosse navi a pieno carico. Inoltre, queste navi giganti rendono poco resiliente la catena di approvvigionamento. Un singolo problema ad una singola nave può mettere in crisi tutta la supply chain dell’industria globale. Basti pensare all’incidente della Ever Given, incagliata nel canale di Suez. Inoltre, l’uso di navi giganti presuppone che i poli industriali siano concentranti geograficamente, mentre la tendenza attuale è rivolta alla decentralizzazione, con la richiesta di beni anche in piccoli centri.

Le infrastrutture portuali

Le infrastrutture portuali sono un grosso problema quando si parla di giganti del mare. I porti in grado di smistare in modo fluido il carico di una nave New Panamax o ULCV sono una bassa percentuale. Inoltre, anche i porti in grado di ospitare meganavi spesso non hanno le infrastrutture terrestri adeguate per lo smistamento dei container, il cosiddetto “retroterra portuale”. Questi porti sono spesso utilizzati nella pratica del transhipment, cioè il trasferimento del carico dalla nave madre a navi più piccole. Un esempio è il porto di Gioia Tauro in Calabria.

Le infrastrutture portuali più efficienti spesso non coincidono con le più trafficate. L’efficienza di un porto è definita dalla World Bank con un indice, il Logistics Performance Index (LPI); i porti con un indice LPI più elevato si trovano principalmente in Nord Europa, mentre i porti più trafficati dell’Asia, del Mediterraneo e dell’Africa sono carenti.

Tutto ciò porta sempre più spesso a rallentamenti nelle operazioni portuali che coinvolgono navi giganti. Questo si traduce in tempi di attesa maggiori per le navi che devono attraccare, e quindi un aumento dei costi operativi, come l’affitto dei container, che riducono il vantaggio economico alla base di tutto.

Le rotte commerciali

Per quanto riguarda le rotte commerciali, le giganti del mare rappresentano una sfida sempre maggiore. Infatti, va ricordato che i canali di Suez e di Panama sono imprescindibili nel definire le tratte commerciali globali, tanto che la stazza massima di una nave è spesso legata alla capacità di transito dei due canali. Inoltre, l’evento del 2020, in cui la mega portacontainer Ever Given si è incagliata nel canale di Suez, bloccando la tratta mediterranea, dimostra che queste navi possono anche essere un pericolo per la catena di approvvigionamento del mercato globalizzato.

Un problema finanziario

Infine, esiste un problema finanziario non trascurabile: le compagnie di assicurazione sono sempre più restie ad assicurare navi giganti. Un esempio è il caso di Allianz, la quale ha dichiarato che l’aumento della stazza delle navi ha reso il rischio finanziario per le società assicuratrici sempre più alto: infatti, seppur queste navi sono molto sicure e il tasso di incidenti è basso, basta un singolo incidente di una delle meganavi portacontainer, con la possibile perdita del carico, per avere shock economici molto forti. 

Soluzioni innovative per le meganavi

Secondo Lars Jensen, direttore di Sea Intelligence Consulting, il futuro del trasporto marittimo risiede nelle navi di piccole o medie dimensioni. Infatti, Jensen sostiene che queste navi potrebbero risparmiare sui costi di attesa per l’ingresso in porto ed eviterebbero anche i costi di transhipment; ciò le renderebbe competitive economicamente. Inoltre, tali navi sarebbero più flessibili e resilienti in termini di logistica e integrazione con le infrastrutture portuali.

D’altro canto, Matthias Becker, manager di Wärtsilä Germany, ritiene che il vantaggio nei costi di navigazione renda ancora le meganavi il mezzo preferito dagli armatori. Tuttavia, Becker avvisa che le navi in futuro dovranno essere pensate in modo innovativo, cioè devono essere progettate per essere integrate con le strutture portuali esistenti. È necessario creare un’integrazione sempre più profonda tra infrastruttura terreste e nave, in modo da ottimizzare il processo logistico e gestire al meglio carichi complessi come quelli delle giganti del mare.

Infine, Becker ricorda anche la sfida della riduzione delle emissioni di CO2 di queste navi; la soluzione più promettente a breve termine è quella di utilizzare il Gas Naturale Liquido (LNG) come combustibile per contenere l’inquinamento, mentre nel lungo termine si può puntare si combustibili alternativi o biofuel.

A cura di Giovanni Restifo

Redazione

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