Come funziona il sistema di trasporti via mare e perché è così importante per la globalizzazione che viviamo oggi? Quando si parla di globalizzazione moderna, spesso si pensa soltanto alle comunicazioni, ad internet, ai mercati finanziari che permettono lo spostamento istantaneo di capitali. Ma esiste un altro pilastro della globalizzazione, molto più “materiale”, che si basa sul commercio marittimo.
Gran parte delle merci che usiamo ogni giorno e che permettono l’esistenza di un mercato globale e di uno sviluppo industriale interconnesso e diffuso, viaggiano via mare. Il mare è un’infrastruttura che non necessita manutenzione, e sembra sconfinato. Tuttavia, quando si tratta di rotte commerciali, gli oceani sono più piccoli di quello che sembra.
Per ridurre tempi e consumi le navi devono seguire delle rotte marittime ben precise, che spesso passano dai così detti colli di bottiglia: stretti, canali e vie marittime preferenziali. Se ad una flotta commerciale viene negato l’accesso ad uno di questi bottleneck, essa è tagliata fuori dal mercato, non è più competitiva. La globalizzazione ha uno dei suoi pilastri nella disponibilità di accesso a questi colli di bottiglia. Chi controlla gli stretti ed i canali, controlla e permette la globalizzazione per come la conosciamo oggi.
Nell’ultimo Review of Maritime Transport pubblicato nel 2021 della United Nations Conference On Trade and Development (UNCTD) si descrive lo stato attuale del commercio marittimo globale, il quale ha risentito indubbiamente della recessione dovuta alla crisi pandemica, ma resta ancora la colonna portante del mercato globalizzato.
Secondo la UNCTD, circa l’80% delle merci per in peso viene trasportato via mare, per un totale di circa il 60% del valore economico del commercio globale. Il numero delle navi utilizzate è sempre in aumento, con un numero totale di circa 100mila imbarcazioni con stazza lorda maggiore di 100 tonnellate. Negli ultimi decenni, inoltre, l’utilizzo dei container è sempre aumentato, sia in relazione all’aumento del PIL globale che al volume di merce scambiato. La cronaca attuale, con la chiusura di alcuni porti a causa della pandemia e della guerra, ci dimostra come la crisi del commercio marittimo può mettere in difficolta economie avanzate e portare alla crisi alimentare paesi ancora in fase di sviluppo.
Un altro trend da evidenziare è il continuo aumento della stazza delle navi cargo. Dal 1998 al 2014 la stazza media delle navi è aumentata del 90% per le porta container, quindi praticamente raddoppiata. La grandezza delle navi commerciali è sempre stata limitata dalla necessità di attraversare i canali di Suez e di Panama. Nel 2015 e 2016 sono stati completati i lavori di ammodernamento di entrambi i canali, permettendo il raddoppio e la possibilità di far transitare navi più grandi. L’economia mondiale quindi si regge sul commercio marittimo, che a sua volta sarebbe impossibile senza rotte commerciali sicure e convenienti.
Gli oceani sono masse d’acqua sconfinate, un’infrastruttura naturale su cui movimentare merci. Sono talmente immensi che sarebbe impossibile per qualsiasi paese, marina militare o organizzazione presidiarli per intero. Tuttavia, questo non è necessario. Per quanto gli oceani siano sconfinati, le rotte commerciali marittime sono invece ben delimitate.
Pensiamo ad una nave porta container che partendo da Shangai debba raggiungere il porto di Gioia Tauro; quale rotta può percorrere? Come si vede, la scelta è in realtà obbligata: deve navigare nel Mar Cinese Meridionale, per poi attraversare due stretti, quello di Malacca e di Bab al-Mandab, percorrere il canale di Suez e quindi entrare nel Mediterraneo. Il tutto in 26 giorni circa.
Al contrario dell’oceano sconfinato, uno stretto è facile da sorvegliare per qualsiasi marina militare ber equipaggiata. Che alternative avrebbe la nostra nave se, per qualsiasi motivo, le venisse impedito di attraversare uno degli stretti o il canale di Suez? Praticamente nessuna. Tecnicamente ci sarebbero altre rotte per arrivare in Europa, circumnavigando l’Africa, o il Sud America, ma avrebbero dei costi immensi in termini di tempo e carburante. Questo esempio vale anche per tutte le altre importanti rotte marittime globali.
Ad oggi, gli stretti più trafficati da navi commerciali sono i seguenti:
Senza escludere gli ovvii canali di Panama e Suez, che rappresentano snodi cruciali per il traffico marittimo globale. Poi esistono degli stretti importanti a livello regionale, come il Bosforo ed il Dardanelli, entrambi situati in Turchia e molto rilevanti per l’economia e la geopolitica della regione del Mar Nero, ed anche lo Stretto di Sicilia (da alcuni denominato Canale di Sicilia), centrale nel traffico interno al Mediterraneo e situato tra Italia e Tunisia.
Gibilterra è storicamente lo stretto più importante per i traffici commerciali euro-atlantici. Con una larghezza di 14 km nel punto più stretto ed una profondità massima di 900 m, dall’apertura del canale di Suez esso ha inoltre acquistato maggiore importanza, in quanto permette di trasformare il Mediterraneo in un corridoio per le rotte tra Asia e Nord Europa. Al 2018, lo stretto di Gibilterra ha visto un traffico annuale di 84 mila imbarcazioni, un numero impressionante se confrontato con il canale di Suez che ne contava “solo” 18 mila.
Bab al-Mandab è lo stretto che divide il Corno d’Africa dalla Penisola Arabica, permette l’accesso al Mar Rosso e quindi al canale di Suez. La sua larghezza è di appena 27 km nel punto più stretto, con una profondità massima di 300 m. Essendo disposto sulla rotta euro-asiatica, da questo stretto passa circa il 20% del traffico marittimo globale, con un transito annuo di 20 mila navi e 4,7 milioni di barili di combustibili fossili. In riferimento al traffico di idrocarburi, lo stretto più importante è quello di Hormuz, che vedere passare 18,2 milioni di barili di petrolio l’anno, e rappresenta il primo snodo cruciale per l’approvvigionamento di combustibili per Europa, Nord America e Cina. Questo stretto è largo circa 30 km per una lunghezza di circa 60 km.
Infine, lo stretto di Malacca, forse oggi lo snodo più importante per il traffico globale. Separa l’isola indonesiana di Sumatra dalla penisola di Malesia, con una larghezza nel punto più stretto di appena 2,7 km (minore dello stretto di Messina); al centro dei commerci tra Asia, Medio Oriente ed Europa, rappresenta il collo di bottiglia che unisce Oceano Pacifico e Indiano e che permette l’ingresso al Mar Cinese Meridionale.
Chi è che decide se una nave può o non può attraversare uno stretto o un canale? Qualunque potenza abbia la capacità ed i mezzi per farlo. Tutti gli stretti sono controllati e contesi dalle nazioni che si affacciano sugli stessi; tuttavia, anche le grandi potenze entrano in gioco nel mantenere l’equilibrio. Ad esempio, lo stretto di Gibilterra è controllato dalle potenze anglosassoni, grazie alla fortezza militare inglese di Gibilterra e alla base militare ispano-statunitense a Rota, in Spagna. In generale, gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno l’ultima parola sulla gestione del traffico in tutti i principali colli di bottiglia marittimi.
Come sempre è accaduto nel corso della storia, i commerci internazionali, sia terrestri che marittimi, si basano su rotte e passaggi garantiti dalle grandi potenze. Da Roma con il suo Mare Nostrum Mediterraneo, passando per le Vie della Seta sorvegliate dall’impero Mongolo, per arrivare alle grandi rotte commerciali stabilite dagli imperi europei nel periodo delle grandi scoperte oceaniche. Si è arrivati poi al primo impero marittimo globale, quello Britannico, che ha dato il via alla prima vera forma di globalizzazione; infine, ai giorni nostri, gli Stati Uniti sono tra le maggiori potenze con capacità militari e politiche necessarie a sorvegliare e garantire le rotte del commercio mondiale.
La globalizzazione del commercio poggia anche su questo equilibrio di rotte, stretti e canali mantenuti aperti a tutti. Se un giorno questo equilibrio si dovesse spezzare in modo irreparabile, si potrebbe tornare ad un commercio su scala regionale, ponendo fine alla globalizzazione per come la conosciamo.
A cura di Giovanni Restifo
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