Durante la Seconda Guerra Mondiale, la regia marina aveva una delle flotte sottomarine più grosse al mondo. Dei 117 sommergibili costruiti prima della guerra, 88 non fecero mai ritorno al porto d’origine. Tra questi, una storia molto interessante è quella del sottomarino Macallè. Questo sottomarino appartiene alla classe di sottomarini Adua, e come tali porta il nome di una città dell’impero coloniale italiano. Difatti, è dedicato alla città di Macallè o Mek’ele, nel Tigré, in Etiopia. La sua storia e quella del ritrovamento hanno ispirato un docufilm diretto dal regista argentino Ricardo Preve.
L’ultimo marinaio rimasto vicino al Gli americani considerano i sottomarini persi come on eternal patrol o still on patrol. È una bella immagine, considerando che molti sottomarini persi si ha un ultimo avvistamento. Per la maggior parte dei sottomarini affondati si ha la perdita di contatto (com’è accaduto per il Kursk, per il Nanggala, per l’ARA San Juan, per lo USS Thresher). Se invece l’affondamento avviene in combattimento, è possibile avere gli attacchi registrati dalle navi antisom o di altri sottomarini. Queste informazioni arrivano però solo tardi, ad esempio a guerra finita agli interessati. Per il personale a terra, il sottomarino non torna alla base e, soprattutto in guerra, non si hanno notizie e si può solo presumere l’avvenuto affondamento. Certo, nel mondo contemporaneo le cose sono cambiate e c’è più possibilità di salvarli.
In realtà il nome ufficiale della classe è “Classe 600 serie Adua”. Infatti, è la quarta serie della Classe 600, dopo la serie Argonauta, la serie Sirena e la serie Perla. Il nome 600 si rifà al tonnellaggio massimo dei sommergibili costieri secondo il trattato di Londra. In realtà, la serie Adua aveva un dislocamento maggiore delle 600 tonnellate, molto più vicino alle 700 (in emersione), più precisamente 697 t. In immersione il dislocamento saliva a poco più di 850 t. Erano lunghi 60 m e larghi 6.45m, con una profondità operativa di 80 m. Essendo ancora dei sommergibili, avevano una velocità sensibilmente superiore in emersione che non in immersione. Si passa infatti dai 14 kn in emersione ai 7.5 kn in immersione.
Parlando di questo sommergibile, bisogna prima di tutto dire che non ha avuto una vita operativa particolarmente lunga o con azioni importanti. Era stato dislocato in porti dell’Africa Orientale Italiana, per pattugliare il Mar Rosso. Più precisamente, era stato dislocato a Massaua, uno dei porti più grandi dell’Eritrea. La prima e unica missione di guerra è cominciata il giorno stesso della dichiarazione di guerra, il 10 giugno 1940. L’obbiettivo della missione era di incrociare al largo di Port Sudan, un grande porto sul Mar Rosso in mano ai Britannici. Vi furono subito numerosi problemi dati dall’inaccuratezza delle carte geografiche e dalle condizioni meteorologiche. Le due problematiche resero molto complicato orientarsi.
Ai problemi già presenti si aggiunsero anche delle perdite di cloruro di metile, noto anche col nome di Clorometano. Questo gas era presente nel sommergibile come gas refrigerante all’interno dell’impianto di condizionamento. Ad oggi l’utilizzo di clorometano come refrigerante è stato interrotto, per via della sua tossicità. Infatti, si sospetti possa essere cancerogeno. Inoltre, l’intossicazione da cloruro di metile porta a delirio e morte. Anche se questo rischio era già noto nel 1939, non si fece nulla per modificare gli impianti se non dopo alcuni incidenti.
Dopo la fuga del clorometano, quando molti dei sommergibilisti del Macallè erano già in delirio, si incagliò sull’isolotto di Bar Musa Kebir. Prima furono sbarcati i sommergibilisti debilitati dal gas, poi si cercò di disincagliarlo. Queste operazioni fallirono, e il Macallè si inabissò il 15 giugno 1940. Tutti i sommergibilisti si salvarono ma si trovarono su un’isola deserta, con poche provviste e intossicati dal gas, senza che il comando italiano sapesse fossero naufragati. Quindi, un gruppo di marinai decise di cercare soccorsi. Finalmente, il 22 giugno furono recuperati dal sommergibile Guglielmotti.
Tra i naufraghi, solo il Sottocapo silurista Carlo Acefalo non riuscirà a essere salvato. Morì il 17 giugno sull’isoletta di Bar Musa Kebir e lì venne sepolto dai suoi colleghi. Questo particolare collega il sommergibile Macallè con il film di Ricardo Preve. Infatti, nel 2014 il regista era in immersione nella zona di Bar Musa Kebir. In una delle sue immersioni, ritrova delle parti del relitto del Macallè. Da lì scopre l’affondamento del sommergibile, e decide di farsi carico delle ricerche e del ritorno a casa del sottocapo Carlo Acefalo. Da qui scaturisce anche il nome del docufilm, Tornando a casa.
Queste le parole del Cineasta, sul suo film
Per me questo film era una necessità. Dopo che venni a sapere di questa storia, e di trovare i primi indizi di dove era rimasta la salma del marinaio, decisi di registrare la ricerca e recupero dei resti, e il ritorno in Italia della salma. Il linguaggio visivo del documentario mi sembrò la miglior forma di ricostruire la vicenda.
Ricardo Preve
Il film è composto dal documentario sul ritorno a casa di Acefalo e una ricostruzione con attori degli ultimi giorni del Macallè. In effetti, il ritorno a casa del Sottocapo Acefalo non è stato particolarmente semplice. Infatti, si è dovuto trovare le spoglie sull’isola e dopo averle trovate, ottenere il permesso di trasporto attraverso l’ambasciata italiana in Sudan per poi riportarlo a Castiglione Falletto (CN).
Il film ha goduto di una critica molto positiva sia in patria in Argentina che all’estero. Il sentimento che suscita in molti che provano a guardare questo film può sicuramente essere dato dalla sua storia. Non solo colpisce il ritorno a casa dell’ultimo marinaio del Macallè, ma anche i fatti di cronaca correlati. Infatti, è uscito a pochi mesi di distanza dall’incidente all’ARA San Juan, e incidenti simili capitano spesso con i sottomarini.
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