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Plastica negli oceani: i geologi possono fare la differenza

Esaminando le profondità oceaniche si è scoperto qualcosa di imprescindibile importanza riguardo la presenza di plastica negli oceani. Col termine “rifiuto marino” si intende qualsiasi materiale solido persistente, fabbricato o scartato da lavorazioni, smaltito o abbandonato nell’ambiente marino e costiero. L’inquinamento è un tema molto spinto in questi ultimi tempi e procedendo con le ricerche la preoccupazione aumenta. Gli studiosi hanno scoperto mucchi di rifiuti in un canyon sottomarino profondo circa 2 km. La comunità scientifica intende indagare sulle cause che hanno portato a tale accumulo.

Gli studi devono proseguire per una risposta efficace

L’attività umana è la causa dell’inquinamento ambientale, in gran parte dovuto alla plastica negli oceani. La situazione peggiora in tutto il mondo ed ha effetti visibili e devastanti. La Scienza fa il possibile per contrastare l’inquinamento, studiandone gli effetti e metodi per ridurlo o scongiurarlo. Grazie al lavoro svolto finora la conoscenza e la consapevolezza è maggiore, ma c’è davvero tanto ancora che ignoriamo. Sappiamo che i fiumi trasportano e immettono plastica negli oceani e che grandi quantità di microplastiche sono invece veicolate dalle correnti e depositate sul fondo.

Il primo grande ostacolo è la mancanza di informazioni sulle modalità di dispersione dei rifiuti. Oltre alla plastica negli oceani, preoccupano oggetti in legno, metallo, vetro, gomma, tessuti e carta. A questi sono poi da sommare inquinanti soluti come i pesticidi. Ad ogni modo è la plastica negli oceani quella considerata più pericolosa, per la sua lunga durata e l’elevato volume prodotto.

La plastica negli oceani: il nemico peggiore

Le plastiche sono versatili ed economiche, ecco perché hanno trovato un vasto impiego nella società moderna. Queste proprietà sicuramente utili hanno però alimentato la modalità “usa e getta” della quale ora paghiamo le spese. Nonostante l’inquinamento sia un tema caldo e molto discusso, molti rifiuti plastici non vengono ancora smaltiti correttamente. L’irresponsabilità dei consumatori, di aziende e persino di governi, porta ad accumuli di plastica sulla terra ferma come negli oceani. Se la spazzatura può essere nascosta agli occhi, i suoi effetti sull’ambiente sono invece lampanti.

Le microplastiche sono in particolar modo insidiose e trovano facilmente accesso al nostro organismo. Non sono visibili ad occhio nudo ma ingerite da diversi animali di cui noi stessi ci cibiamo, entrano nel nostro corpo. A chi sta già pensando di ricorrere ad una dieta vegana diciamo che il tentativo è comunque vano. Le microplastiche si trovano anche nell’acqua e a questa non possiamo assolutamente rinunciare. L’unico modo per uscirne è comprendere la gravità del problema ed impegnarsi per risolverlo.

Il ruolo della geologia nello studio e mitigazione della plastica negli oceani

Potrebbe sembrare strano, eppure i geologi hanno un ruolo da protagonisti. Chi studia l’ambiente, il clima, lo stato del nostro pianeta nel passato e tutti i fenomeni che hanno cambiato la Terra nei secoli, può comprendere l’incidenza dei rifiuti. La plastica negli oceani si muove come un sedimento e si deposita e muove secondo proprietà fisiche come dimensione, densità e forma. La credenza comune è quella secondo cui la plastica si deposita e rimane sepolta: tutto questo è falso!

I sedimenti non per forza restano fissi sui fondali ma possono anche spostarsi. Nei canyon sottomarini e nei canali, ad esempio, gli inquinanti si muovono anche per molto tempo. Lo spostamento dei rifiuti può durare anche migliaia di anni finché poi, depositandosi nel luogo di riposo finale, diventano parte dell’unità stratigrafica. Proprio questo è il nocciolo della questione: è noto che la plastica negli oceani si muove ma non si conosce il punto di accumulo finale.

Quando la plastica negli oceani comincia a degradarsi, rilascia sostanze tossiche. Si sa davvero poco sulla degradazione chimica e biologica dei rifiuti plastici in particolare sulla durata a diversi valori di temperatura e pressione. Non si sa quanto impiega un oggetto plastico a scomporsi in microplastiche e che effetto ha tutto questo per chi vive negli abissi.

I metodi finora applicati sono poco risolutivi e talvolta pericolosi

Siamo nelle mani della classe politica che deve agire il prima possibile per evitare ulteriori danni. Se l’inquinamento si arrestasse oggi, i rifiuti finora accumulati produrrebbero comunque microplastiche per diversi decenni. Molte azioni fatte per ridurre l’inquinamento hanno avuto scarsi risultati per l’insufficiente comprensione del problema. Estrarre le microplastiche già presenti è molto difficile, in verità anche per la plastica comune ci sono problemi. La difficoltà sta nell’estrarre la plastica negli oceani a grande profondità: alcuni metodi potrebbero danneggiare gli ecosistemi, quindi fare più danni rispetto alla sola plastica.

La geologia può riempire i vuoti, conoscendo il legame tra oceano e terra ferma: non ci si può soffermare al solo oceano perché si escluderebbero importanti fattori. I geologi possono spiegare e legare tra loro i fattori che regolano lo spostamento e la sedimentazione dei rifiuti, intuizioni e conoscenze mancanti per altri. I geologi devono lavorare con oceanografi, biologi, chimici e chiunque altro si interessi all’inquinamento. La geologia non è solo la scienza che studia la Terra, non è così limitata come molti pensano. Tutta la comunità scientifica deve collaborare, apportando il proprio contributo per salvare il nostro pianeta.

La geologia fa la differenza proteggendo gli ecosistemi

La geologia può davvero fare la differenza, studiando il comportamento dei rifiuti a lungo termine e le modalità di sedimentazione dei rifiuti. Il suo contributo è valido anche per altre tipologie di inquinamento, difatti tante sono le sfide da vincere e tutte molto difficili. L’inquinamento ha diverse forme e tutte subdole. I danni provocati dai rifiuti sono gravi e colpiscono l’ambiente ed i suoi abitanti anche per millenni.

Ancora c’è da comprendere il comportamento dell’anidride carbonica nel sottosuolo. Recenti analisi condotte su antichi coralli presso l’università di Bristol hanno confermato emissioni di C02 negli oceani avvenute nella Preistoria. La scoperta è di fondamentale importanza per comprendere i cambiamenti metereologici globali avvenuti nel corso dei millenni e l’influenza delle correnti marine sul clima. Altro problema preoccupante è la presenza di mercurio negli oceani. L’inquinamento da mercurio nei pesci neppure è da sottovalutare. Il mercurio si trova naturalmente in molti elementi, anche in piccole quantità. È possibile trovare il mercurio in aria ed acqua ma anche in esseri viventi. Non solo frutta e verdura, dunque, sono da selezionare scrupolosamente ma occorre stare attenti anche al pescato di cui ci nutriamo.

Christian Cione

Studente magistrale di Ingegneria Navale presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Scrivo articoli inerenti allo scenario marittimo e cantieristico internazionale con maggiore attenzione verso tematiche ambientali e militari.

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