I pirati di oggi sono molto distanti da quelli che possiamo immaginare. Non sono avventurieri mossi da autentici ideali e desiderio di libertà come siamo soliti vedere nei film. Essi cercano infatti il guadagno a scapito di chi, col mare, vive e lavora onestamente. Nel rapporto “State of Piracy 2018”, pubblicato nel luglio 2019, la pirateria appare in forte aumento. L’obiettivo comune è quello di monitorare il fenomeno e quantificarne l’entità per meglio difendere le navi e gli equipaggi.
Tutti purtroppo abbiamo sentito almeno una volta parlare di scorrerie in Somalia. Inizialmente la pirateria era legata a piccoli gruppi criminali con mezzi ridotti, operanti presso i porti della Somalia meridionale. Nelle prime fasi la pirateria aveva come scopo la sola rapina. Attualmente le cose sono cambiate: molte navi sono dirottate e gli equipaggi sequestrati in cambio di denaro. Le imbarcazioni, gli armamenti e la strumentazione dei pirati di oggi è molto diversa. Le casse di questi criminali si gonfiano e grosse cifre vanno ad investire altre attività illegali che coinvolgono più nazioni.
I pirati somali hanno attaccato anche navi italiane, come la Enrico Ievoli e la Savina Caylin. Il 2011 è stato un anno molto triste per quanto riguarda la pirateria, con circa 440 attacchi pirata di cui 257 a largo della Somalia. C’è però da dire che gli attacchi si sono poi ridimensionati: nel 2013 sono stati contati 11 attacchi presso le coste somale su 216 totali. Si può parlare dunque di declino della pirateria in Somalia? Nel 2013 si pensava di si, ma con i recenti attacchi la tendenza è opposta.
Proprio nel 2013, a seguito dei rapporti sul calo degli attacchi pirata, si è pensato ad un declino del fenomeno, soprattutto in Somalia. Il Dipartimento di Stato americano ha una divisione propria che si occupa della lotta ai pirati di oggi. Secondo tale organo il declino della pirateria somala trovò ragione in più cause. La prima causa è sicuramente dovuta alle varie tecniche di protezione adottate dalle società di navigazione. La seconda causa è il massiccio impiego di navi da guerra lungo le coste della Somalia. La terza causa è l’impegno internazionale contro i pirati di oggi.
Sono almeno 25 le marine militari impegnate contro i criminali del mare. I nuovi accordi internazionali perseguitano la pirateria sinergicamente: negli anni precedenti c’erano molti casi di rilascio a causa di falle nel diritto marittimo. L’ultima ragione è la crescente avversione da parte degli abitanti locali verso i pirati ed i loro metodi disumani. Si è notato che la popolazione somala ha sempre meno tollerato la presenza di tali predoni, negando dunque ricovero e basi ai pirati di oggi.
La difesa avviene per lo più attraverso metodi non letali che rallentano o danneggiano gli inseguitori. Le più utilizzate sono manovre ad elevata velocità col fine di creare un forte moto ondoso oppure getti d’acqua. Il 16 febbraio del 2018, ad esempio, è stato sventato un attacco grazie ad un getto d’acqua bollente. Per difendere l’equipaggio dai pirati di oggi, alcune navi hanno apposite aree chiuse. L’equipaggio può nascondersi a bordo in questi spazi sigillati, attendendo i soccorsi. Un’altra misura a protezione delle navi è la scorta armata. Nonostante siano molto efficaci, si preferisce evitare la scorta armata a favore dei metodi non letali.
Il 15 febbraio 2012 la scorta della nave italiana Enrica Lexie viene accusata di aver ucciso due pescatori indiani al largo della costa del Kerala. Mentre l’Italia sosteneva le intenzioni aggressive dell’equipaggio del peschereccio, l’India affermava che la nave italiana non ha comunicato, né documentato, attacchi prima degli spari. Le forze armate indiane sequestrano i due fucilieri di marina italiana, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Inizia così il caso dei marò che durerà fino al 2 luglio 2020, col riconoscimento dell’immunità funzionale per i fucilieri in missione e l’obbligo italiano di risarcire l’India per le perdite umane e del peschereccio.
I pirati di oggi sono organizzati in attività illecite ben strutturate ed hanno bisogno di luoghi sicuri dove nascondersi e pianificare gli attacchi. La pirateria somala sembra concentrarsi nella provincia del Mudug, collocata nella zona meridionale del Paese. Altri luoghi da tenere sotto controllo sono sicuramente Puntland, regione nord-orientale della Somalia e Somaliland, uno stato indipendente non riconosciuto dell’Africa orientale. Altre zone interessate dalla pirateria si trovano in Asia sudorientale, nel golfo di Guinea e nell’Africa occidentale. Nel golfo di Guinea transitano navi che fanno particolarmente gola ai predoni del mare, poiché trasportano materie prime e greggio verso l’Europa e l’America. Solo nei primi nove mesi del 2013 sono state saccheggiate dieci navi proprio nel golfo di Guinea. Sempre nella stessa area altre 14 navi furono costrette ad aprire il fuoco per difesa.
Si può notare come nello stesso anno in cui gli attacchi in Africa occidentale sono aumentati, si è visto un calo in Somalia. È facile pensare che alcuni pirati abbiano cambiato coste e dunque preda; ciò fa riflettere sull’importanza della collaborazione internazionale. Altre acque pericolose sono quelle presso Singapore, Malesia ed Indonesia. La conformazione fisica dell’Indonesia permette un controllo capillare delle rotte ed una rapida fuga per gli aggressori. Nel 2016 sono avvenuti circa 90 attacchi. L’anno successivo il Ministero della Difesa della Malesia ha dato inizio ad una serie di pattugliamenti aerei nel Mare di Sulu.
I pirati di oggi non sono di certo solo coloro che personalmente guidano gli abbordaggi. C’è una vera e propria organizzazione criminale dietro queste razzie. Fanno parte di tale rete criminale abitanti di poveri villaggi, pescatori, ex-miliziani ma anche esperti tecnici ed imprenditori. Non è poi tanto difficile trovare manovalanza per chi è a capo delle organizzazioni criminali. Persone che vivono forti disagi, troppo spesso rasentando la sopravvivenza, sono facili da reclutare. Molti diventano criminali in mancanza di altre possibilità, altri vengono convinti puntando il dito contro gli stranieri che inquinano le acque e rubano il pescato.
Ai pirati non viene promessa solo la ricchezza ma la più importante fama di guerrieri e difensori delle acque territoriali contro l’avidità delle altre nazioni. La manodopera proviene dai villaggi locali mentre le imbarcazioni sono quelle sequestrate o modificate per essere irriconoscibili. Nelle basi della pirateria moderna sono pianificati gli abbordaggi, nascosti i prigionieri e gestiti i negoziati. Sono gli uomini d’affari a controllare tutto; alcuni nemmeno abitano più nella nazione d’origine ma vivono agiatamente in Gran Bretagna o negli Emirati Arabi.
Anche altre criminalità organizzate internazionali, in particolare quelle dell’Europa orientale, finanziano i pirati di oggi. Sono quest’ultime che forniscono armamenti e strumenti tecnologici ai pirati di oggi, dividendo i guadagni ricavati da scorrerie e riscatti. Si è stimato che in 7 anni la pirateria ha fruttato ai criminali circa 300 milioni di euro nel solo Corno d’Africa. I dati forniti da ONU, Interpol e Banca Mondiale lasciano intendere che le stesse cifre arricchiscano i pirati anche di altre aree nel mondo. Ai signori della guerra va dal 30% al 50% del ricavato, di cui una buona parte è investito per portare avanti la pirateria. Altro denaro è destinato ad altre attività illecite, come il traffico di droga o di esseri umani.
Secondo il rapporto, alcune navi sono dirottate nei porti controllati da gruppi estremisti che tassano i pirati. Meno va ai veri e propri pirati di oggi. Il braccio armato riceve dai 25 mila ai 55 mila euro per ogni nave dirottata. La paga aumenta o decresce con premi e sanzioni. In favore di chi per primo sale a bordo o si trova coinvolto in sparatorie ci sono bonus valutati fino 10’000 €. Chi disobbedisce o maltratta l’equipaggio è multato e dunque si ritrova sottratte simili quantità dalla paga finale.
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