Dall’avancarica alla retrocarica: la corsa agli armamenti navali
Il passaggio dalla avancarica alla retrocarica a noi sembra una scelta ovvia, ma per una serie di motivi non lo è stato. Poche volte si considera l’importanza del passaggio dalla avancarica alla retrocarica, e ancora meno si considera il suo effetto nella corsa agli armamenti navali. Le navi durante la cosiddetta “era delle corazzate” culminata durante la Seconda guerra mondiale, con navi quali la IJN Yamato, arrivarono ad avere dei cannoni di armamento principale dal calibro di 46 cm che potevano sparare proiettili da 1460 kg. Analizzeremo questo passaggio epocale in questo articolo, insieme alle cause di questa rivoluzione.
Dall’avancarica alla retrocarica negli armamenti navali: facciamo un passo indietro
Il metodo di avancarica è il metodo più antico di caricare i proiettili in un’arma. Porta a una bassa difficoltà di produzione perché la canna si può colare in un pezzo unico, soprattutto considerando le capacità metallurgiche dell’era moderna. Un altro vantaggio, almeno fino a tutta l’era moderna, sempre dato dal pezzo unico della canna, è la minore fragilità della culatta, con conseguente minor rischio per gli operatori del pezzo di artiglieria.
I difetti però erano innumerevoli, tra questi il maggiore era sicuramente il rischio legato al ritardo di scoppio. In caso di questo tipo di problema, qualcuno doveva entrare nella canna del pezzo, con conseguente ovvio rischio per la salute della persona e di tutti quelli intorno. Un ulteriore problema avvenne con l’avvento delle torrette sulle ironclad, in cui, vista la necessità di ricarica attraverso la bocca da fuoco, le canne erano corte, con conseguente problema di poca precisione.
Un evento che fece aprire gli occhi alla Royal Navy fu l’incidente della HMS Thunderer (1872). Questa nave era una delle prime ironclad “a torrette” e non con l’armamento in casematte. Nel gennaio 1879, durante delle esercitazioni di tiro, esplose una canna della torretta di prua dopo essere stata caricata in seguito alla cilecca di uno dei due cannoni, uccidendo 11 marinai e ferendone altri 35. Dopo questo evento la Royal Navy decise di passare ad armi a retrocarica.
La retrocarica nella corsa agli armamenti navali
A discapito di quanto si possa pensare, la retrocarica in sé non è cosa tanto nuova. Nel quattordicesimo secolo, venne inventato un archibusone a retrocarica. Questo perché il bronzo per i cannoni ad avancarica era costoso, e questi archibusoni potevano essere costruiti in ferro. Non tramite colata, bensì tramite forgiatura, in più pezzi diversi tenuti insieme da delle fasce di ferro, come le botti. Queste prime armi avevano problemi di tenuta della culatta, per cui appena fu possibile colare il ferro, vennero sostituiti da cannoni ad avancarica.
Nell’ottocento, arrivarono i cannoni a retrocarica moderni. La grande innovazione fu la sigillatura della culatta a modo di otturatore a vite interrotta, il quale tolse il problema di tenuta della culatta. La krupp, invece, sviluppò un otturatore a cuneo, usato solo da Germania e Russia su navi. Un fatto emblematico che mostra la complicanza nell’adozione di questa nuova tecnologia è il Ordnance select committee (“Commissione d’inchiesta parlamentare sulle munizioni”) della Camera dei comuni del 1863.
Dopo aver usato dal 1855 le Armstrong Guns (cannoni di progettazione di William Armstrong a otturatore a vite completa), si decide di tornare all’avancarica perché i cannoni erano più sicuri ma anche più difficili da costruire e più costosi, sia per la costruzione del cannone in sé che per la costruzione delle munizioni.
L’evoluzione delle navi
Dopo l’incidente alla HMS thunderer, la Gran Bretagna decise di virare verso le armi a retrocarica. In Italia, invece, l’ultima classe di corazzate costruite ad avancarica furono le Caio Duilio, impostate nel 1873. La successiva, la classe Italia, impostata nel 1876, era già a retrocarica. In Francia, le corazzate di classe Gloire furono riarmate nel 1866 con cannoni a retrocarica.
L’innovazione maggiore data dall’adozione dei cannoni a retrocarica nelle navi permise di annullare la necessità di una lunghezza massima della canna per poter ricaricare i cannoni, portando quindi a una maggior precisione delle batterie navali. Questo, accoppiato alle altre innovazioni del periodo, permise una maggior capacità di penetrazione delle corazze, portando a un aumento delle corazzature. Queste, a loro volta, richiesero l’installazione di batterie di cannoni più potenti per poter perforare le nuove corazze, portando alla corsa agli armamenti navali di fine Ottocento-prima metà del Novecento, soppiantato dalla portaerei e dai sottomarini del secondo dopoguerra.
A cura di Alessandro Mantani