Dal greco ephòlkion (scialuppa) e dall’arabo faluka, nasce il nome dell’imbarcazione progettata ad hoc per affrontare una pesca antica e cruenta, quella del pesce spada. Lo schermidore del mare è sempre stato un bottino ambito dai pescatori, non solo per il suo elevato potere nutritivo, ma anche per le sue dimensioni, che possono raggiungere i 4,5 m di lunghezza per più di 400 kg. Queste caratteristiche, però, sono combinate ad una forza fisica, una resistenza e una furbizia tali da rendere questo pesce una preda difficile da catturare. L’allestimento particolare, di cui la feluca moderna è dotata, permette ai pescatori un’azione sinergica che si basa su un’astuta strategia.
A prescindere da come le dimensioni e l’allestimento delle barche adibite alla caccia al pesce spada siano variati nel tempo, la tattica di base è rimasta una costante: avvistare il pesce, inseguirlo o attenderlo, lanciargli un arpione addosso e lottare fino alla resa. Con le moderne feluche questa resa è quasi sempre dell’animale, ma anticamente il duello terminava spesso con quella del pescatore, che rischiava addirittura la morte.
Le prime fonti certe che trattano della pesca del pesce spada appartengono a Polibio e a Strabone, tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C. . Grazie alle alte rupi calabresi a picco sul mare, la prima fase della strategia (avvistamento della preda) poteva avvenire da terra: da un’altezza di 80÷150 m, un avvistatore munito di banderuola bianca indirizzava, a voce alta, i movimenti del pesce ad una piccola imbarcazione, chiamata Luntru (dal latino linter=barchetta). Il luntru, partendo dalla base delle pendici calabresi, si dirigeva rapido verso il pesce indicato, grazie a 4 rematori in piedi (introdotti a fine 800); una caratteristica di questa fase (inseguimento) era l’avanzamento di poppa del natante, il quale presentava ottime capacità manovriere anche contro corrente. I 4 remi erano, infatti, di grandi dimensioni in proporzione allo scafo: i due remi a poppavia erano lunghi entrambi 4.68 m ; quelli a pruavia 5.46 e 5.72 m.
L’efficacia dell’inseguimento era garantita da un altro pescatore che, al vertice di un piccolo albero (detto farere) alto 3÷3.5 m e posto a centro-nave, dirigeva i rematori e il lanzaturi munito di fiocina.
L’ultima fase della pesca era l’attacco al pesce: il lanciatore, posizionato a poppa (perché, probabilmente, aveva più spazio di appoggio, una buona stabilità e maggiore vicinanza al pelo libero del mare, rispetto alla prua) scagliava l’arpione . Così iniziava il duello.
Il luntru era solitamente dipinto esternamente di nero per risultare meno visibile al pesce, e internamente di verde.
Per mancanza di fonti storiche, si ritiene che questa singolare attività peschereccia sia rimasta per lungo tempo esclusivamente calabrese. Il motivo principale è legato al paesaggio tipico della costa siciliana: essendo per lo più piatta e sabbiosa, è priva degli osservatori naturali che caratterizzano le coste ricche di promontori del calabrese dirimpetto.
Fortunatamente, tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, si realizzò l’idea di affiancare al luntru una barca accessoria che, opportunamente zavorrata e ormeggiata vicino o lontano dalla costa, fungeva da “osservatorio galleggiante”, con la stessa funzione di vedetta delle rupi calabresi. Questa nuova imbarcazione di origine messinese, venne denominata Feluca e considerata una barca da posta, proprio per la sua mansione. Per adempiere al suo compito, l’avvistatore necessitava di una posizione più elevata possibile: per questo motivo, a centro-nave, venne innalzata una torretta (detta ‘ntinna) alta dai 15 ai 22 m e dotata di opportuna scaletta, dalla quale era facile segnalare la posizione del pesce agli uomini dei luntri associati. Essi, rimasti in attesa del segnale, si lanciavano veloci all’inseguimento della preda utilizzando la stessa collaudata tecnica dei pescatori calabresi. Solitamente le feluche da posta erano due o tre, ancorate su zone diverse, in modo da ricoprire un più vasto campo d’avvistamento.
Dovendo fungere da osservatori fissi, le feluche non necessitavano di un proprio mezzo propulsivo; i luntri corrispondenti, quindi, le rimorchiavano sulle poste prestabilite.
Il costo dell’imbarcazione-osservatorio era un fattore fondamentale per determinare l’effettivo profitto ricavato dalla pesca del pesce spada. Considerando che il periodo di utilizzabilità della barca si limitava a due soli mesi l’anno (durata della campagna di pesca del pesce spada). Infatti, una volta trasformata in barca da posta, la feluca non era ovviamente più adatta alle altre attività, per cui era necessario ottimizzare le sue dimensioni e i materiali utilizzati. Il costo risultava accettabile, soprattutto grazie all’uso di uno scafo costruito con legname “povero” (pino delle foreste di Bagnara Calabra)
Realizzazione del natante da posta: si rimuovevano le strutture originarie e l’armamento di navigazione di una barca da pesca; chiusa con un ponte di coperta integrale, esteso da prua a poppa.
Sulla coperta, partendo dalla sezione maestra, vi era un’apertura quasi triangolare verso poppavia; da questo ingresso si poteva accedere ad una stiva usata soprattutto per riporvi la zavorra (pietre e sacchi di sabbia).
L’apertura fungeva anche da foro per il passaggio dell’albero (‘ntinna) di circa 20 m, il cui piede veniva alloggiato sottocoperta nella scassa, costituita da un solido e robusto blocco di quercia fissato al paramezzale. L’albero era infine collegato a prua, a poppa e lateralmente ad apposite caviglie in legno (inserite dall’interno della falchetta alta 20 cm) tramite grosse cime .
La scaletta sull’albero era realizzata con pioli in legno, distanziati tra loro di 50 cm l’uno dall’altro e collegati tra loro con cime annodate. All’apice della ‘ntinna veniva collegata una tavola di legno posta trasversalmente all’albero, in modo da offrire all’avvistatore un sostegno su cui poggiarsi.
L’azione combinata della feluca da posta e del luntru rimase alla base della pesca del pesce spada fino agli anni ’50. Nel 1952 il pescatore Antonio Mancuso inventò la passerella per l’arpionaggio, un’innovazione che ha completato definitivamente l’aspetto funzionale della feluca, la barca moderna che ancora oggi si può ammirare in azione sullo stretto di Messina od ormeggiata sulla riviera dell’antico borgo di Torre Faro (Messina).
Con l’introduzione della passerella e l’avvento del motore, le tre fasi della strategia sono oggi tutte eseguite da un’unica imbarcazione. Poiché essa assume non solo il ruolo originario di barca da posta, ma anche di luntru, aumentando il profitto globale dell’attività:
La ‘ntinna, un traliccio metallico, è stata elevata fino a 30÷35 m, dotata di collegamenti e leve di controllo del timone e del motore (dagli 80 ai 350 CV) ed equipaggiata di una coffa, dove si apposta l’avvistatore-timoniere.
Come a simulare la spada del pesce, la passerella(traliccio metallico orizzontale) si estende a pruavia della feluca per una lunghezza di 35÷40 m . Essa è in parte retrattile, sicchè può essere ritirata in caso di necessità.
Riguardo l’installazione dei due tralicci tra essi ortogonali, sono saldamente collegati tra loro e allo scafo tramite cavi d’acciaio e tiranti. Con questo complesso sistema di funi, i due oggetti si bilanciano, garantendo l’equilibrio strutturale del natante .
La lunghezza dello scafo della feluca spadara è di circa 25 m (esclusa la passerella) ed è ancora realizzata in legno. Rispetto al luntru, i colori scelti sono più vivaci (tradizionalmente il verde, il bianco, il rosso e l’azzurro). La feluca, quindi, si rivela essere un’incredibile macchina da pesca ed un simbolo della storia marittima siciliana.
Articolo a cura di Ester Diforti
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