Gli scafi blu erano particolari tipologie di imbarcazioni, che la criminalità napoletana usava per il contrabbando di sigarette, le “bionde” come venivano chiamate a Napoli.
Il contrabbando di sigarette si è originato nel primo dopoguerra, per risollevare le economie locali sebbene in modo criminoso.
Si tratta di un fenomeno sociale ed economico a cui parteciparono migliaia di napoletani, definito dal sociologo Domenico Di Masi come “la vera Fiat del mezzogiorno italiano”.
Le grandi navi che trasportavano casse di sigarette di contrabbando comunicavano via radio, su canali criptati, con i contrabbandieri posizionati a terra. Stabilito il punto di incontro al largo, i contrabbandieri dovevano caricare le casse e tornare a terra prima dell’arrivo della Guardia di Finanza.
La Guardia di Finanza intercettava le comunicazioni e partiva con potenti lance per intercettare gli scambi di merce.
Nella maggior parte dei casi i potenti scafi blu riuscivano ad effettuare lo scambio senza essere presi. Quando venivano presi sul fatto, nascevano rocamboleschi inseguimenti tra i pattugliatori della Guardia di Finanza e gli scafi blu. L’inseguimento durava anche ore e terminava se il mezzo militare riusciva ad accostare allo scafo blu, anche solo per pochi secondi. In questo caso i militari gettavano una cima nell’elica o mandavano in corto circuito i motori con un potente cannone ad acqua.
L’arresto di un contrabbandiere rappresentava una sconfitta per tutto il sistema e spesso nascevano sabotaggi e ripicche.
Il momento critico per un contrabbandiere era quello dopo aver caricato le pesanti casse di sigarette dalla nave madre. Infatti in questo caso il mezzo era più pesante e più vulnerabile ai potenti mezzi della Guardia di Finanza e in caso di inseguimento dovevano provvedere a gettare in mare tutto il carico.
I costruttori verniciavano gli scafi blu di questo colore affinché di notte non riflettessero la luce lunare, risultando quindi invisibili di notte. I maestri d’ascia costruivano gli scafi blu nei cantieri napoletani, quali ad esempio “Pezzella” e “Molimar” o modificavano vecchi scafi in vetroresina. Realizzati con compensato di mogano, lunghi dai 9 ai 13 m, risultavano leggerissimi in acqua e velocissimi grazie alla propulsione con doppio motore Mercruiser. Gli scafi blu non comparivano sui primi radar grazie anche ad un parabrezza a spigolo vivo associato alla particolare struttura dello scafo.
A bordo degli scafi blu vi erano generalmente massimo 3 persone, di cui uno esperto pilota del motoscafo e 2 che caricavano circa 1000 kg di sigarette per viaggio. Di giorno gli scafi blu erano, con fierezza, esposti sulle banchine di tutto il Golfo e ammirati da centinaia di curiosi.
Non appena gli scafi rientravano carichi in porto, decine di ragazzi riempivano di sigarette diverse auto tipo “Alfetta” prive di sedili e sfrecciavano nei nascondigli dei vari quartieri napoletani. I ragazzi vendevano le sigarette di contrabbando su piccole bancarelle di legno agli angoli delle strade e ciò permetteva il sostentamento di numerose famiglie che non avevano alcun reddito post guerra.
L’ingegno dei napoletani mise in seria difficoltà la Guardia di Finanza, che faceva frequentemente i conti con un’organizzazione sociale e culturale ben radicata sul territorio e che disponeva di centinaia di uomini e mezzi. Il fenomeno proseguì fino agli anni 80 e dal punto di partenza partenopeo si è diffuso verso altri luoghi commerciali, come le coste della Puglia.
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