Articolo a cura di Renato Ceccarelli
Gli appassionati del genere techno-triller probabilmente avranno sentito parlare di propulsione magnetoidrodinamica nel celebre film tratto da un romanzo di Tom Clancy, “Caccia a Ottobre Rosso”: un dispositivo capace quasi di annullare la firma acustica del mezzo, anche a grandi velocità. Quanto di quello raccontato riguardo questa tecnologia è fantasia?
La magnetoidrodinamica è parte della magnetofluidodinamica, ossia la branca della fisica che studia la dinamica di fluidi capaci di interagire con un campo magnetico (plasma, metalli liquidi e acqua marina in una certa misura). Sebbene i primi studi in questo campo risalgano al 1908,furono i fisici Hannes Alfvén e Jean-Pierre Petit tra gli anni ’60 e ’70 a ottenere una formulazione rigorosa dei suoi modelli: secondo il loro approccio i fenomeni della magnetofluidodinamica vengono studiati combinando le leggi dell’elettrodinamica classica e della fluidodinamica.
La teoria di Alfvén, più specificamente, equipara il moto oscillatorio di un fluido conduttore a una corrente elettrica. In particolare se il moto del fluido è trasversale al campo magnetico, si ottiene una forza perpendicolare sia al campo che alla direzione del moto del fluido (la forza di Lorentz). Questo è il principio fisico alla base della propulsione magnetoidrodinamica o MHD.
Negli anni ‘60 Stewart Way, consulente per la Westinghouse Electric e professore dell’Università della California, diresse la progettazione di un piccolo sommergibile propulso da un sistema MHD. Chiamato EMS-1, esso era lungo circa 3 metri e fu testato per la prima volta nel 1966 nella baia di Santa Barbara dimostrando però prestazioni piuttosto scarse (non venero raggiunti i 2km/h). Questo in seguito venne attribuito al fatto che Way utilizzò per la generazione del campo magnetico una normale bobina conduttrice.
Sulle basi del lavoro di Way, un team di ricerca della Kobe Mercantile Maritime University con a capo il prof. Yoshiro Saji ottenne risultati un po’ più incoraggianti. Furono i primi a realizzare un modello funzionante con una bobina in materiale superconduttore posta esternamente allo scafo: l’ST-500 raggiunse nel 1979 velocità superiori a 2km/h.
In Giappone la Ship & Ocean Foundation (oggi Ocean Policy Research Institute) instituì nel 1985 dei comitati scientifici finalizzati alla realizzazione di una nave di dimensioni reali mossa da un sistema MHD a superconduzione. Sei anni più tardi la Yamato-1 era pronta a condurre le prove in mare nel porto di Kobe.
Con una lunghezza fuori tutto di 30 metri e un dislocamento di meno di 200 tonnellate, la nave ha viaggiato ad una velocità di 8 nodi (circa 15 km/h) trasportando 10 persone tra equipaggio e passeggeri.
Caratteristiche Generali
Lunghezza fuori tutto | 30 m |
Lunghezza tra le perpendicolari | 26,4 m |
Larghezza | 10,39 m |
Immersione | 3,69 m |
Dislocamento | 185 t |
Propulsione | 2 magneti superconduttori (4 Tesla) 2 generatori diesel da 2 MW |
Velocità massima (Forza di Lorentz 16 kN) | 8 nodi (15 km/h) |
Numero di persone a bordo | 10 (3 di equipaggio) |
Il meccanismo di magnetoidrodinamica di questo mezzo è paragonabile sotto certi aspetti all’idrogetto: l’acqua marina viene aspirata da delle prese poste a proravia, accelerata nei condotti del sistema MHD ed espulsa dagli ugelli di scarico a poppa. Per accelerare il flusso a velocità funzionalmente accettabili, data la bassa conducibilità elettrica dell’acqua di mare, è stato impiegato un sistema MHD a campo magnetico interno.
In questo sistema i condotti sono avvolti in bobine a forma di sella realizzate con fili di una lega NbTi (niobio e titanio) aventi nuclei in rame. Per realizzare la superconduttività, che è uno stato in cui la resistenza elettrica è quasi nulla, le bobine sono immerse in un bagno di elio liquido, alla temperatura di -268°C. La corrente elettrica fluendo attraverso le bobine genera un forte campo magnetico nei condotti e passando tra una coppia di elettrodi viene eiettata producendo spinta.
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Il vero vantaggio di questo tipo di propulsione magnetoidrodinamica risiede nell’assenza di parti in movimento, con la conseguente riduzione di rumori strutturali, carichi di tipo dinamico, e quindi interventi di manutenzione legati all’usura dei componenti. Una nave passeggeri a propulsione convenzionale di pari dimensioni tuttavia a bordo ha posto in genere per centinaia persone. I limiti funzionali della Yamato-1 sono legati al fatto che buona parte degli spazi presenti a bordo sono occupati dall’ingombrante apparato motore che pesa circa il 70% del disclocamento di pieno carico. Ciò spiega l’attuale obiettivo della ricerca in questo campo: sviluppare magneti più potenti e leggeri allo stesso tempo.
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