ARA San Juan: scomparso per un anno nell’Oceano Atlantico

L’ARA San Juan è stato un sottomarino dell’Armada de la Repùblica Argentina (prefisso navale: ARA). Il sottomarino era scomparso il 15 novembre del 2017 nel Golfo San Jorge con 44 militari a bordo, tra cui la prima donna sommergibilista dell’Argentina.

Secondo quanto ricostruito dall’ultimo contatto con l’equipaggio, avvenuto la mattina del 15 novembre, era stato segnalato un ingresso di acqua nel battello tramite lo snorkel (il tubo che garantisce l’afflusso d’aria per la ricarica delle batterie), quindi un cortocircuito e un principio di incendio. Due stazioni internazionali confermerebbero tale ipotesi poiché, 3 ore dopo dall’ultimo contatto,è stato rilevato un rumore compatibile con un’esplosione; tramite calcoli di acustica l’incidente è avvenuto a 468 metri sotto il livello del mare.

Corsa contro il tempo

Dopo la scomparsa del sottomarino, ben 15 Paesi e la NATO con 34 unità (22 marittime e 12 aeree) iniziarono le ricerche per tentare di salvare l’equipaggio, il quale aveva scorte di ossigeno e cibo per soli 7 giorni. Il 30 novembre, finisce la ricerca del sottomarino e inizia quella del relitto, perdendo ormai le speranze di ritrovare sopravvissuti; il 5 dicembre viene annunciata la morte dei 44 membri dell’equipaggio.

Bruce Rule, analista dell’Intelligence della Marina Militare degli Stati Uniti ed esperto in acustica e in incidenti di sommergibili, è stato uno dei primi a occuparsi del caso, nello specifico non delle dinamiche meccaniche dell’incidente ma della morte dei 44 membri a bordo. L’esperto afferma e assicura che i 43 uomini e l’unica donna siano morti all’istante dell’esplosione di idrogeno in circa 30 millisecondi, la quale si è propagata all’interno del sottomarino con una velocità di 1.4 secondi.

Impossibile recuperare l’ARA San Juan

Circa un anno dopo, il 17 novembre del 2018, grazie a un’osservazione realizzata da un sommergibile telecomandato della compagnia statunitense Ocean Infinity, l’ARA San Juan fu ritrovato a 907 metri di profondità in fondo all’oceano Atlantico, al largo della penisola di Valdes, in Patagonia. Per il ritrovamento, il governo argentino pagherà 7.5 milioni di dollari alla compagnia statunitense.

“Riportarlo in superficie” solo questo chiedono i familiari e l’intera società argentina; ma il governo è chiaro: non ci sono i mezzi e la tecnologia adatta per il recupero del San Juan. L’ Ocean Infinity ha inviato oltre 67 mila foto scattate al relitto, serviranno per accertare l’affondamento definitivo del sottomarino.

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Come evitarlo?

In molti dicono che l’incidente e la perdita dell’intero equipaggio poteva essere evitata. Un’inchiesta aperta sulla gestione della tragedia, evidenzierebbe come il sottomarino avesse avuto già un principio di incendio nella notte del 14 novembre, portando undici ore dopo, il “collasso strutturale”. L’inchiesta metterebbe nero su bianco la gestione del caso da parte delle autorità politiche: basso livello di coinvolgimento sia nella fase di emergenza che in quella di ricerca, e soprattutto poca empatia nei confronti dei familiari dell’equipaggio. Il rapporto non accusa solo il settore politico ma anche le irregolarità delle forze militari: la grave sottovalutazione dell’incidente, gli ufficiali incaricati non sospesero le operazioni, non inviarono aiuti e non notificarono ai superiori la gravità dell’accaduto, e la poca manutenzione degli armamenti, addestramento e capacità operative, aiutarono l’ARA San Juan ad affondare.

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