Articolo a cura di Renato Ceccarelli
Il sottomarino è un mezzo navale dal fascino indiscusso. Tra libri di fantasia, trattati storico-bellici e brani pop esso è diventato ormai parte della nostra cultura moderna. Ma come funziona?
Sebbene oggi le unità subacquee coprano svariati impieghi, inizialmente esse vennero concepite come macchine da guerra. La loro nascita può essere collocata verso l’ultimo decennio del 1800 quando si ideò un’arma che sfruttasse l’effetto sorpresa per attaccare le grandi unità di superficie. Il sommergibile non ebbe subito fortuna; complici le relativamente scarse conoscenze tecniche dell’epoca e la generale sfiducia dei vertici delle marine europee, esso fu inizialmente surclassato da una tipologia di unità più veloce, di piccole dimensioni e armata di siluri: la torpediniera. Il primo sommergibile ad entrare in servizio nella marina italiana fu il “Delfino”, un apparecchio di cento tonnellate che venne impostato sullo scalo dell’arsenale di La Spezia nel 1889. Il periodo della Grande Guerra, ricco non solo di scontri campali, ma anche di grandi battaglie navali (Battaglia dello Jutland, e Prima Battaglia dell’Atlantico ad esempio) costituì per il sommergibile un’epoca di radicali evoluzioni, specie nel settore dell’architettura navale (forme più idrodinamiche) e della propulsione (introduzione del motore a Ciclo Diesel) ma non solo: in alcune marine, tra le quali la marina tedesca maggiormente, si cominciò a percepire l’importanza strategica della macchina subacquea. Nacquero già a partire dal 1914 i primi sommergibili d’attacco, che vennero principalmente utilizzati per forzare blocchi navali e intercettare convogli di navi mercantili.
Durante i primi anni della Seconda Guerra Mondiale la Kriegsmarine, impiegò il mezzo massivamente, ottenendo risultati devastanti contro i convogli statunitensi diretti verso la Gran Bretagna. Proprio durante la Battaglia dell’Atlantico divenne chiaro da entrambe le parti il necessario incremento dell’efficienza tecnica non solo di questo tipo di unità (velocità, resistenza, autonomia, armamento), ma anche delle contromisure adottate per opporvisi (sonar). Il sommergibile cominciò negli anni ad adeguarsi a profili operativi sempre più complessi e contribuì, assieme all’avvento della portaerei, a decretare la scomparsa di una tipologia di unità navale che fino alla fine del secondo conflitto regnò pressoché incontrastata: la corazzata.
La legge fisica alla base del funzionamento del sommergibile, come peraltro di quello di ogni mezzo galleggiante, è il principio di Archimede. Facendo variare il suo peso attraverso un sistema di zavorra mobile (acqua), il sommergibile può teoricamente navigare in tre condizioni di galleggiamento: positivo, neutro e negativo.
Nella prima condizione il sommergibile è in condizione di equilibrio stabile ed il suo peso specifico medio è minore di quello dell’acqua. Poiché in questo caso il volume di carena (quello immerso) è di per sé sufficiente a determinare una spinta idrostatica che eguagli il peso, il mezzo naviga in superficie come una nave. Al galleggiamento positivo corrisponde il cosiddetto dislocamento di forma.
L’insieme dei compartimenti stagni del sommergibile contiene un volume di aria sufficiente a far sì che il suo peso specifico medio complessivo sia pari a quello dell’acqua di mare (1,025tf/m3). In galleggiamento neutro lo spostamento è affidato esclusivamente alla spinta dei propulsori e ai timoni. Il dislocamento in questo caso si dice dosato o di immersione.
Condizione generalmente evitata in quanto chiaramente molto rischiosa, il galleggiamento negativo si verifica quando il peso specifico medio dell’unità subacquea è superiore a quello dell’acqua di mare. Ne scaturisce una tendenza all’affondamento incontrollato.
L’immersione è la manovra con la quale un sommergibile o un sottomarino passa da una navigazione in superficie sotto il pelo libero dell’acqua, in galleggiamento neutro. Essa deve essere attentamente monitorata in modo da mantenere il mezzo al di sopra della sua massima quota operativa (si assume generalmente come positiva la quota equiversa alla direzione di immersione) e, come l’emersione che ne costituisce l’inverso, viene condotta tramite l’ausilio di tre diversi sistemi: le casse, i timoni e l’apparato di propulsione.
Le casse di un sommergibile hanno nome diverso a seconda della loro funzione, abbiamo:
• Casse di zavorra: vengono allagate per l’immersione, viceversa per l’emersione; queste casse sono quelle di maggiore capacità e si troveranno sempre completamente piene in immersione, viceversa in superficie.
• Casse di assetto: sono delle casse deputate al controllo delle inclinazioni del sommergibile, si trovano a prora e a poppa in modo da aumentarne i bracci. Sono generalmente interconnesse da un sistema di pompaggio che ne regola costantemente i volumi.
• Casse di compenso: simili nelle loro funzioni a quelle di assetto, queste casse servono appunto per compensare eventuali variazioni di dislocamento dovuto allo sbarco di un peso (come può esserlo ad esempio il lancio di un siluro).
Schematizzazione di una manovra di ‘immersione rapida’.
1) In superficie a1, a2: timoni orizzontali B: casse di zavorra
2) manovra di immersione b1, b2: casse di assetto f: zavorra immersione rapida
3) navigazione in immersione c1, c2, e, d: casse di compenso
Una manovra di immersione inizia con l’apertura degli sfiatatoi (posti nella parte alta dello scafo) e delle prese a mare (sul fondo) in modo tale da allagare completamente le casse zavorra. Sott’acqua gli sfiatatoi vengono chiusi, ma le prese rimangono aperte in modo tale che la pressione nel doppio scafo venga bilanciata da quella idrostatica.
La manovra di emersione viene principalmente affidata ai timoni in quanto nel raro caso in cui si svuotano le casse di zavorra tramite pompaggio il battente idrostatico sulla sacca d’aria diminuisce costantemente dando luogo a un circolo vizioso che causa un’emersione incontrollata. Nei casi più comuni lo svuotamento delle casse avviene vicino al pelo libero, a quota costante.
La vela, ossia una sorta di torretta fissa sullo scafo di un sommergibile, contiene vari dispositivi sollevabili: radar, telecomunicazioni, periscopi, radiogoniometri, telemetri e lo snorkel. Quest’ultimo in particolare è fondamentale in quanto fornisce aria all’equipaggio e ai vari apparati che ne necessitano. Generalmente, per un sommergibile convenzionale (come ad esempio quelli della classe Sauro in dotazione alla Marina Militare Italiana) che naviga in superficie, circa il 15% del totale dell’aria aspirata dagli snorkel viene affidato all’impianto di ventilazione per i locali dell’equipaggio, il rimanente alimenta i locali del motore e delle batterie. In immersione la percentuale di CO2 contenuta nell’aria non può superare generalmente l’1% (al 3% si può respirare per un’ora circa); questo rende necessario l’uso di dispositivi di rigenerazione dell’aria.
I primi assorbitori di CO2 erano costituiti da calce sodata (NaOH + CaO) oppure idrossido di litio (LiOH) e l’ossigeno si riforniva con bombole o candelotti. Attualmente si usa un più sicuro sistema al biossido di potassio (KO2) fornito in cartucce solide: la reazione assorbe anidride carbonica e libera ossigeno. La maggior parte dei sottomarini moderni inoltre genera ossigeno per elettrolisi dell’acqua.
Sebbene poco intuitiva, vi è una sostanziale differenza tra il “sommergibile” e il “sottomarino”: in base a fattori discriminanti quali ad esempio la propulsione e l’architettura, possiamo infatti suddividere le unità subacquee in queste due categorie.
Tecnicamente un sommergibile è concepito per navigare prevalentemente in superficie e immergersi per una breve durata della sua vita operativa. Ne consegue chiaramente che gli impianti di propulsione di queste unità siano intrinsecamente dipendenti dall’aria (motori a combustione interna) e le loro carene siano progettate in maniera tale da minimizzare anche la resistenza d’onda.
Al contrario il sottomarino, è progettato per navigare principalmente in immersione: la diffusione avvenuta in larga parte a partire dagli anni ‘50 di apparati di propulsione indipendenti dall’ossigeno (come i sistemi nucleari e le celle a combustibile) consente a questo tipo di unità di rimanere immersa per mesi, rendendo la sua individuazione da parte di un potenziale avversario un’operazione estremamente complessa. Caratteristiche distintive della geometria di un sottomarino sono la forma tondeggiante della sua prua e quella cilindrica dello scafo nel suo complesso. Oggi i sottomarini sono parte integrante delle marine di tutti i paesi affacciati sul mare e si sono rivelati, nell’ultimo mezzo secolo, particolarmente importanti nel campo della ricerca marina. La tecnologia di cui disponiamo ha già consentito di poter esplorare il punto più profondo dell’oceano: la Fossa delle Marianne.
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