Atlantide, la scoperta nel Mare del Nord
L’Atlantide del Nord
Negli ultimi decenni i pescatori del Mare del Nord avevano portato alla luce le tracce di “un’Atlantide del Nord Europa“; così un gruppo di ricercatori ha voluto approfondire.
Un team britannico ha passato gli ultimi due anni a creare al computer un modello del fondale della zona interessata alla ricerca; tutto grazie ai dati forniti dalle compagnie di petrolio e di gas, dai costruttori di impianti eolici e dalla National Coal Board.
Il modello realizzato permette di individuare le aree con la più alta probabilità di trovare prove dell’esistenza di civiltà sul fondo del mare; dalle prime ipotesi si stimava che questo paesaggio sommerso fosse la casa di migliaia di individui.
La spedizione anglo-belga
Nel mese di maggio è partita una spedizione per l’Atlantide del Nord, costituita da un gruppo di scienziati del Belgio e della Gran Bretagna; obiettivo, esplorare tre siti di potenziale interesse geologico e archeologico.
Con sede presso il Lampeter campus della University of Wales Trinity Saint David, il Dr Martin Bates ha concentrato le sue ricerche sui suoli e sedimenti di siti archeologici e sulla geoscienza di paesaggi sommersi.
Essere coinvolti in questo progetto è davvero interessante, [. . .] Qui a Lampeter il nostro lavoro è quello di esaminare i campioni ottenuti dal carotaggio effettuato sul fondale marino e ricostruire la geologia del cambiamento ambientale avvenuto negli ultimi 100.000 anni. Da queste informazioni possiamo individuare i luoghi probabili in cui trovare sopra, o al di sotto, del fondale marino prove che i nostri antenati vivevano in queste zone ormai dimenticate.
Dr Martin Bates
Difficoltà
La ricerca di prove in questo mare non è per niente facile, a causa dell’elevato traffico marittimo e delle condizioni meteo quasi mai favorevoli; inoltre la visibilità sott’acqua è spesso scarsa.
Date queste difficoltà, i ricercatori della nave belga RV Belgica hanno usato tecniche acustiche e campionato il fondale per sondare le tre aree obiettivo principali; il team ha usato sia tecniche geofisiche tradizionali sia una nuova tecnica con l’utilizzo di un sonar parametrico. Questo ha permesso di ottenere immagini ad alta risoluzione dei depositi al di sotto del fondale.
Primi risultati
Sebbene il sondaggio sia stato pesantemente influenzato dal maltempo, la conferma della presenza di questa ipotetica Atlantide, ha rivelato quanto segue; una superficie terrestre risalente al Olocene precoce vicino a Brown Bank (Area C nella figura 2) dove sono stati recuperati numerosi grandi campioni di torba e legno antico. Queste prove suggeriscomo fortemente che un bosco preistorico sorgesse in questa zona.
L’indagine sull’area B ha preso di mira un grande sistema fluviale individuato nel modello realizzato dal team inglese. Quest’area è stata concentrata su una zona in cui il fiume sfociava in un mare antico, dove si riteneva fosse più probabile trovare tracce umane meglio conservate. L’indagine ha registrato non solo resti di torba ma anche noduli di selce che possono provenire da affioramenti di gesso sottomarini vicino all’antico fiume e alla costa. Questi ritrovamenti sono supportati dai risultati di “vibrocores” acquisiti nell’area per il progetto Europe’s Lost Frontiers.
Primi manufatti
Ulteriori studi hanno anche rivelato i primi manufatti archeologici nell’area di rilevamento (figure 3 e 4). Uno era un piccolo pezzo di selce, probabilmente il prodotto di scarto della fabbricazione di utensili in pietra. Il secondo era un pezzo più grande, spezzato dal bordo di un martello di pietra, un manufatto usato per realizzare diversi strumenti di selce. Oltre ad essere la prova della produzione di utensili in selce, il frammento di martello deriva da un grande nodulo di selce martellato che avrebbe fatto parte di un kit di strumenti personali. Lo studio su questo manufatto e sul luogo di ritrovamento è ancora in corso .
Conclusioni
Nel breve tempo a disposizione per il rilevamento e il campionamento intorno al Southern River e alla Brown Bank, la metodologia del progetto ha chiaramente dimostrato il suo valore. La geofisica marina è stata utilizzata per mappare la topografia di queste terre perdute e identificare le aree in cui possono esistere sedimenti preistorici. Dove queste aree sono accessibili e adatte all’occupazione o l’uso umano, i sedimenti possono essere estratti per un attento esame e con un’aspettativa più elevata di trovare reperti di quanto fosse possibile in precedenza.
Il materiale recuperato suggerisce che “l’Atlantide del Nord” è un paesaggio preistorico ben conservato che, sulla base di un’ispezione preliminare del materiale, doveva avere un bosco preistorico. Il recupero di manufatti in pietra permetterà agli archeologi di dimostrare con certezza l’occupazione umana delle acque più profonde del Mare del Nord. Il lavoro procederà ora a perfezionare la nostra conoscenza del più ampio contesto di questi reperti e a pianificare ulteriori spedizioni per esplorare questi paesaggi preistorici nascosti.