Moby Prince, la verità sul disastro

Dopo ben 26 anni (dal 10 Aprile 1991), sembrerebbe che la verità sulla tragedia del traghetto Moby Prince (140 morti e un solo superstite) stia tornando a galla. Proprio nel ricordo del triste anniversario, durante il quale è stato inaugurato a Livorno anche un giardino in memoria delle vittime, sono stati presentati altri indizi che ribaltano le convinzioni. Il primo dubbio è che sulla nave, che stava bruciando dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo, c’erano ancora persone in vita e invece i soccorritori si concertarono per molto tempo soltanto sulla petroliera.

Sono proprio le ultime testimonianze raccolte dalla commissione parlamentare d’inchiesta del mozzo Alessio Beltrand (unico superstite del traghetto), a smentire ciò che gli ormeggiatori avevano testimoniato, e cioè che sulla nave erano tutti morti.

Non è vero, io dissi loro che c’erano ancora persone in vita e che i soccorsi dovevano fare presto

ha detto l’ex mozzo alla commissione d’inchiesta.

Anche un ex comandante della Navarma ha recentemente affermato che erano tutti consci della presenza del Moby (si pensava a una bettolina), dato che lui stesso lanciò l’allarme poco dopo la collisione. Secondo poi il testimone Guido Frilli (che avrebbe già testimoniato 26 anni fa, senza ricevere credito):

 Quella notte in rada non c’era nebbia, lo ribadisco. Sono stato alla finestra fino all’una del mattino e vedevo con chiarezza ciò che stava accadendo

Di fronte alla Commissione d’inchiesta sembrerebbe quindi sgretolarsi l’ipotesi della nebbia, che per i magistrati era la causa principale del disastro. Prima di Frilli, una simile versione era stata data dall’ex pilota del porto di Livorno, l’avvisatore marittimo e due ufficiali della Guardia costiera.

Nei giorni successivi all’incidente – ha sottolineato Frilli – mi sono presentato in Capitaneria per riferire della perfetta visibilità in rada e della totale assenza di nebbia

Di queste testimonianze non si era “mai” saputo nulla, lasciando emergere indagini condotte superficialmente e conclusioni poco fedeli alla realtà dei fatti. La relazione finale sulle 72 audizioni fatte in 25 mesi di lavoro verrà presentata tra qualche giorno. Quello che i parenti delle vittime chiedono da anni:

Non so se arriveremo mai alla verità totale – dice Luchino Chessa, figlio del comandante del traghetto -. Di certo, l’esito delle audizioni dimostra che a provocare il dramma non è stata la distrazione dell’equipaggio. Non credo che sarà mai possibile, ma sarebbe utile capire anche le cause dell’impatto

La sopravvivenza dei140 passeggeri del Moby Prince e l’organizzazione dei soccorsi sono quindi i punti principali di queste nuove testimonianze. A rileggere le vecchie sentenze, i passeggeri del traghetto appena partito da Livorno e diretto a Olbia avrebbero avuto solo 20 minuti di vita. Ma in realtà, dal momento dello scontro con la petroliera, a bordo della nave sono trascorse ore interminabili.

PH.la Nuova Sardegna

Tra le diverse prove messe insieme dalla Commissione d’Inchiesta, ci sarebbe la consulenza di un medico legale (ancora secretata) che ha chiarito un particolare: i 140 passeggeri avrebbero respirato per ore il fumo. In più c’è l’immagine di quell’uomo che dopo molte ore sale sul ponte della nave per chiedere aiuto.

Infine, ci sono le foto scattate dai vigili del fuoco, entrati per primi nel garage del traghetto: sulle auto coperte di fuliggine, ci sono le orme di tante mani: ciò a significare che quando il rogo era stato domato dentro la nave arroventata parecchie persone ancora si spostavano alla ricerca di un luogo sicuro. La testimonianza del mozzo Alessio Bertrand, rafforza la nuova certezza:

Quando mi hanno soccorso ho detto che c’erano ancora persone vive

Il capitolo soccorsi è quello che nelle prime indagini non è mai stato affrontato, ma negli atti degli interrogatori della Commissione c’è un’ammissione dell’allora comandante del porto, Sergio Albanese:

Il traghetto era un corollario, ci siamo concentrati sulla petroliera». A salvare i 140 passeggeri, dunque, nessuno ci ha provato.

Andrea Alfano

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