Era partita come una ricerca riguardante il cambiamento climatico e si è tramutata in una scoperta sconcertante: sul fondo del Mar Nero, su cui si affaccia la Bulgaria, il team di archeologi e ricercatori del MAP (il Black Sea Project guidato dal centro di archeologia marittima dell’università di Southampton) ha ritrovato un “cimitero” di 60 imbarcazioni romane, bizantine, ottomane finite in quel luogo a scandire più di 2500 anni di storia.
Il prof. John Adams (alla guida del progetto), spiega infatti che la spedizione aveva lo scopo di eseguire indagini geofisiche sul riscaldamento globale, attraverso tecnologie all’avanguardia (anche 3D) per le riprese sottomarine: stiamo parlando di robot subacquei in grado di arrivare ad oltre 2000 m di profondità, veicoli teleguidati (ROV), scanner e laser.
Ed è proprio grazie a queste tecnologie che si sono imbattuti in un cimitero di relitti di navi con alberi maestri perfettamente conservati, stive piene di anfore, imbarcazioni mai viste prima se non su rappresentazioni artistiche e mosaici. Questa conservazione perfetta di legni, metalli e altri materiali, è stata permessa dalle profondità del mare anossiche (senza la presenza di ossigeno) unite alla presenza di poca luce.
Ora un team di esperti archeologi analizzerà timoni, corde, alberi: si stima che le navi più antiche risalirebbero al V A.c. I ricercatori inoltre, hanno deciso di non comunicare la posizione dei ritrovamenti, al fine di salvaguardare questo patrimonio dal valore inestimabile. In attesa di nuove informazioni, la BBC sta già preparando un documentario riguardante questa strabiliante scoperta che certamente permetterà di delineare, sempre con maggiore precisione, la storia navale di diversi imperi.
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