La corrosione delle navi 2° parte
Nell’articolo precedente abbiamo introdotto il problema della corrosione delle navi descrivendo la sua genesi. Abbiamo riportato per sommi capi l’aspetto fisico-chimico ed elettrochimico del fenomeno, necessari per comprendere al meglio il principio di funzionamento delle soluzioni adottate. Andiamo dunque subito ad analizzarle.
Vernici e materiali isolanti
Prima fra tutte, troviamo l’utilizzo, da parte del cantiere, di idonee pitture, vernici, resine (acriliche, epossidiche, uretaniche) per la carena, al fine di “rivestirla” ed isolarla dalla soluzione elettrolitica costituita, come già detto, dall’acqua di mare. Esse, vengono applicate allo scafo della nave durante la sua costruzione ed eventualmente durante lavori di riparazione in bacino, dopo una valutazione dello strato residuo. Sfortunatamente, molto spesso, non rappresenta la soluzione definitiva al problema.
Protezione catodica con anodi sacrificali
Si ricorre quindi alla sistemazione, in numero opportuno (in base alla dimensione della nave) ed in zone precise dello scafo (valutate in base alla presenza o meno di appendici, andamento corrente fluida ecc.) dei cosiddetti anodi sacrificali, ossia di materiali, sotto forma di panetti (saldati o bullonati allo scafo), con potenziale elettrochimico più negativo di quello del ferro presente nello scafo, in modo da ricoprire il ruolo di cessione degli elettroni. A questo punto, la nuova cella galvanica originatasi, sarà costituita dall’anodo sacrificale (anodo), carena (catodo) e dalla soluzione elettrolitica (mare). Il risultato? La corrosione non interesserà più la carena ma gli anodi sacrificali, che, periodicamente, durante i ritiri in bacino, dovranno essere controllati ed eventualmente sostituiti, preservando così lo scafo della nave.
La scelta del materiale con cui sono realizzati i panetti, di solito ricade sul magnesio (più costoso ma con peso specifico minore) o sullo zinco (più semplici da realizzare). Il sistema ha il vantaggio di un ridotto costo di gestione e manutenzione, ma sul profilo idrodinamico determina un aumento di resistenza parassita.
Protezione catodica con sistema a corrente impressa
Moderno, ma più sofisticato, prevede l’installazione a bordo di un impianto di generazione di corrente. Mentre nel caso precedente, la richiesta di elettroni da parte dello scafo (costituente il catodo) era soddisfatta dai panetti che man mano si deterioravano, nel caso in esame invece essa è soddisfatta da un sistema che fornisce la corrente necessaria a proteggere la carena dalla corrosione: quindi, al posto degli anodi, vi sarà un generatore che diffonde la stessa corrente sullo scafo (ricavata da dati empirici).
Il setup è costituito, come già detto, da una fonte di corrente continua (generatore) che viene alimentato dalla corrente alternata di bordo, da anodi (costituti di materiale inerte altamente resistente e isolati dalla carena), collegati al polo positivo e dall’acciaio dello scafo (catodo), collegato al polo negativo dell’alimentatore. Gli anodi, sotto forma di strisce, hanno la funzione di immettere in acqua la corrente protettiva che, fluendo, richiude il circuito sulle lamiere dello scafo: quest’ultimo quindi risulterà catodico o “più negativo” rispetto agli anodi erogatori.
La corrente erogata, dovrà essere costantemente monitorata attraverso un sistema di regolazione automatico che, tramite ad alcune celle di riferimento (solitamente di zinco isolato in un supporto in vetroresina), ad intervalli regolari, misurerà la differenza di potenziale tra essa e la carena.